lunedì 7 novembre 2011

NON PAGARE IL DEBITO ALLE BANCHE.

La crisi finanziaria che investe l'Europa è, appunto, una crisi finanziaria, ossia legata alla circolazione del danaro, al rapporto debito/credito tra prestatori e debitori; il mondo non scarseggia di prodotti, di servizi, di beni ma di danaro, ossia del mezzo di scambio che serve a procurarseli.
Gli squilibri che oggi devastano la nostra tranquillità - familiare, imprenditoriale e dunque - sociale sono, in gran parte, il frutto di debiti contratti dagli stati per provvedere alle esigenze legate all'esercizio della propria sovranità: scuola, sicurezza, servizi sociali etc etc; una parte di questi debiti sono stati assunti nei confronti del circuito bancario; un'altra parte nei confronti di risparmiatori.
Non bisogna negare l'evidenza: una parte non trascurabile delle uscite dello stato italiano è puro spreco, clientela, inutile e greve burocrazia, assistenzialismo gabellato come spesa sociale.
E questo è un fatto; ma è pure un fatto che lo Stato ricorre al prestito ricevendo moneta creata dal nulla, nota questione che è inutile qui ricordare.
Ed allora, se i debiti verso i cittadini bisogna pagarli, quelli verso le banche no; qualificati come soggetti di pubblico interesse dalle leggi fasciste degli anni trenta, nella loro attività di raccolta del risparmio e di erogazione del credito e poi divenute, grazie a direttive europee degli anni settanta/ottanta, mere imprese con fini speculativi, gli istituti bancari hanno da venti/trent'anni a questa parte fatto i propri porci comodi e i propri sporchi interessi; hanno fatto quello che è stato loro concesso di fare, si potrebbe obiettare. Benissimo; ora però lo Stato faccia il suo, d'interesse, che è quello che la costituzione gli assegna o gli raccomanda, ossia controllare il credito e il risparmio (articolo 47 della costituzione) e nazionalizzare la fase d'emissione dell'euro (articolo 43 della costituzione: a fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale).
Si dirà: ma i debiti vanno pagati; balle, lo Stato può fare quello che vuole: creare leggi, abrogarle, dichiarare guerre, cannoneggiare altri territori, perdonare i malfattori, svuotare le tasche dei propri cittadini e addirittura dichiarare inesigibili certi crediti; tutte cose che gli Stati hanno sempre fatto e continuano - e continueranno - a fare.
Qualche esempio? Recentissimamente l'Islanda e, nel 2008, l'Ecuador. Asfissiato dal rimborso di prestiti che rappresentavano il cinquanta per cento del proprio bilancio, l'allora presidente Raphael Correa rifiutò di pagare il 40% del debito dichiarandolo illegittimo, costringendo così i creditori a rinunciare a gran parte delle loro pretese.
L'Ecuador entrava così per la terza volta in 14 anni in default ma non come risultato di una decisione subìta ma di un legittimo - in quanto sovrano - atto politico.
Così s'espresse il presidente ecuadoregno: "Ho dato l'ordine di non pagare gli interessi. Il paese è dunque in default su questo debito coll'estero. Noi sappiamo ciò che andiamo ad affrontare, dei veri e propri mostri che non esiteranno nel tentare di schiacciare il paese ma io non potevo più permettere che si continuasse a pagare un debito immorale ed illegittimo. In quanto presidente della Repubblica me ne assumo tutta la responsabilità".
Il 12 dicembre 2008, nello stesso giorno in cui questo discorso era pronunciato, 30,6 milioni di dollari d'interessi su titoli rimborsabili nel 2012 non venivano pagati; la stessa sorte subivano i debiti per successivi interessi venuti a maturazione.
I crediti bancari contestati ammontavano a 3,8 miliardi di dollari, ossia quasi il 40% del debito pubblico coll'estero, pari a 9,9 miliardi di dollari rappresentati principalmente da buoni del Tesoro, oggetto di transazione sui mercati finanziari e in particolare su quello di Wall Street.
Davanti alla determinazione di quel governo sudamericano i detentori di quei titoli cominciarono a svenderli fino al 20% del loro valore; il governo ecuadoregno riuscì a comprarne il 91%, riscattando quindi il proprio debito ad un costo di 900 milioni di dollari, con un conseguente risparmio di circa 7 miliardi di dollari.
E da questo rifiuto di pagare il debito non è certo seguito il caos, visto che il tasso di crescita dell'Ecuador è pari al 3-4 %.
Restiamo in attesa che i governi europei - in particolare di Grecia, Italia, Spagna, Portogallo e altri - si rendano conto che l'interesse dei popoli che governano è superiore a quello dei gruppi finanziari da cui sono taglieggiati da decenni e, dunque, facciano valere i rispettivi diritti con un atto di prepotente ma legittima sovranità.

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