lunedì 31 maggio 2010

CI VOGLIONO METTERE A NOVANTA GRADI...

Ci siamo. Mancava qualche altro cazzotto al traguardo e i cazzotti sono arrivati. Al Colosseo, ai danni d'un omosessuale che ora reclama, forte della propria disavventura, che il governo inserisca il movente omofobico, come giá richiesto dalla deputata lesbica Paola Concia, tra quelli che, nel 1993, il decreto Mancino indicò quali aggravanti di qualsiasi reato: i motivi di discriminazione razziale, etnica, religiosa, nazionale. Nel 1993 un episodio poco chiaro (vandalismi contro alcuni sepolcri del cimitero ebraico di Prima Porta) ma subito accollato a bande di non ben specificati "naziskin" fu il pretesto che mosse il governo, pressato da ambienti che in Francia vengono scherzosamente definiti col termine "la lobby qui n'existe pas", ad adottare la legislazione "antirazzista". Uno dei tanti provvedimenti che, dai tempi dell'emergenza terroristica, dimostra la mancanza di un benché minimo discernimento. Governi di tutti i colori hanno sempre obbedito agli umori delle piazze; sia quando, schiacciata da assassinii e atti terroristici la pubblica opinione chiedeva, ottenendole, manette, punizioni e repressione sia quando, di fronte a palesi ingiustizie commesse contro innocenti, il sentimento forcaiolo si tramutava in pietas garantista e i governi varavano nuove misure a tutela del diritto alla presunzione d'innocenza. Misure emergenziali e garantistiche si sono rincorse per decenni, risultato della volontá dei governanti di captare gli umori popolari, per adeguarvisi, vera ed unica motivazione del loro agire. Veri uomini di Stato avrebbero volto lo sguardo oltre il loro breve orizzonte di carriera e d'interesse politico, sarebbero stati attenti alla misura e consapevoli della necessitá di guardarsi dalle diffuse passioni che le contingenze, sia pur drammatiche, del terrorismo suscitavano. Ma se la sanguinosa emergenza di quegli anni settanta ed ottanta poteva in qualche maniera rappresentare una ragione di peso per sconvolgere codici ed interpretazioni serene ed obbiettive delle norme penali, quel che sta accadendo da qualche tempo a questa parte ha tutt'un altro odore. Puzza di marcio, di costruito, di artificiale. E ha dalla sua non giá ragioni di obbiettiva gravitá come uno status di belligeranza contro organizzazioni terroristiche e criminali ma, e stanno in prima fila, gli strilli, isterici, dei responsabili di organizzazioni omosessuali e, in seconda fila, l'accondiscendenza trasversale di alcuni ambienti politici, anche governativi. In primis la Carfagna, il ministro delle pari opportunitá. La stessa che appoggió con vigore l'adozione della misura cautelare detta dell' "allontanamento dalla residenza familiare" destinata ai genitori (ma di fatto rivolta ai soli padri) nel caso di reati commessi nell'ambito familiare ma che ha giá provocato, grazie anche alla balorda interpretazione di giudici incapaci, guasti enormi. E' la classica legislazione giacobina, improntata sull'ossessione "antidiscriminatoria" ed "egualitarista", in nome della quale si vorrebbe purificare la societá da ogni ingiustizia ma che ha, da sempre, costituito la rampa di lancio per le peggiori vessazioni, per le piú oscene repressioni, tutte rivolte a indagare i pensieri e le intenzioni, spiando dal buco della serratura dell'anima d'ognuno, ma non giá per completezza di verità bensì per usare pensieri ed intenzioni contro il loro legittimo proprietario, secondo il peggiore modello inquisitorio. Leggetevi il testo della dichiarazione dei diritti dell'uomo della Convenzione rivoluzionaria francese, leggetevi il testo della costituzione sovietica staliniana: quante belle affermazioni di libertá! Sulle quali sono schizzati litri di sangue dalle ghigliottine di Robespierre e dalle purghe del bandito georgiano. Perché solo un paese incivile vuole dare importanza a ció che sta nella coscienza del singolo, solo un paese di delatori, di sovietica memoria, vuole trasformare il giudice da prudente interprete e corretto esecutore della legge a spione che va a frugare nei motivi del gesto, anteponendo questi all'obbiettiva valutazione della gravitá del gesto stesso e dei suoi effetti concreti. Come se giá nella nostra legislazione non esistessero norme volte a dosare l'entitá della pena secondo i motivi che hanno determinato il reo alla condotta vietata. Queste regole di giudizio, questi modulatori di pena e di sanzioni erano e sono piú che sufficienti. Invece si vuole gravare la bilancia, giá assai appesantita e scalibrata, della giustizia di criteri del tutto estranei a ragioni di equitá e di buon senso. Per quale motivo il cazzotto dato ad un omosessuale deve essere punito piú pesantemente d'un cazzotto rifilato ad un salumaio colle orecchie a sventola? Perché se offendo una persona gay debbo subire una procedura diversa, piú pesante e vessatoria, di quella riservata a chi, invece, ingiuria un laziale o un tabaccaio ? Quale logica presiede ad una simile diseguaglianza se non quella, perversa, di perseguire lo scopo, in ció obbedendo alla mortifera filosofia del trattato di Lisbona, di un rovesciamento dei diritti naturali a beneficio di quelli "innaturali" e della creazione d'uno status quo che punisca ogni "deviazione" antiegualitaria. E non si tratta solamente di cazzotti: l'omofobia qualificherá non solo gli atti di violenza ma anche ogni forma "discriminatoria". Una critica, una valutazione negativa, magari un apprezzamento boccaccesco ed ecco che potrá scattare il meccanismo, bestiale, kafkiano, della repressione con i suoi meccanismi di persecuzione penale e di risarcimento civile. Colle associazioni omosessuali che potranno costituirsi parte civile, reclamare condanne e risarcimenti e arricchire le loro casseforti coi danari dello sventurato di turno. Ma non hanno ancora vinto; anzi il vostro umilissimo, imitando un grande scrittore e giornalista, vi grida forte: No pasaran !

Nessun commento:

Posta un commento