martedì 19 ottobre 2010

IL GRANDE FRATELLASTRO

Siamo stati lungamente avvertiti dalle pubblicitá di Canale 5 che il "Grande Fratello" stava per inaugurare, ieri sera, la sua undicesima edizione.
E giù tutti a fremere di disgusto e d'insofferenza, tutti a criticare questo programma inutile, sciocco, diseducativo etc etc...
Peccato che il "Grande Fratello", anzi chiamiamolo il "Grande Fratellastro", per non far plagio dell'originale, sia in onda tutti i giorni dell'anno su tutti i canali.
Non é forse stata una degna anticipazione del reality oggi piú seguito su tutti le reti tv - il caso Sarah Scazzi - la puntata di "Chi l'ha visto?" del 7 ottobre quando, in diretta, una telecamera piazzata nella casa dei parenti della ragazzina seguiva le reazioni e i commenti dei suoi familiari alla notizia del ritrovamento del corpo e della confessione dello zio ?
Che differenza trovate fra la telecamera che immortala le stupidaggini dei sedici beoti del format di Mediaset e la telecamera che segue, sia in diretta sia in differita, i protagonisti della tragedia di Avetrana?
E non mi si dica che "poverina la madre di Sarah..." o "che dramma anche la figlia di zio Michele..." !
Non mi fanno pena, nessuna delle due. Non mi fa pena chi accetta di andare in televisione, non giá per mandare in onda un appello nella speranza che qualcuno l'aiuti - il che sarebbe comprensibile - bensì accettando di far sfoggio del proprio dolore o di fare dei propri sentimenti materia di pubblico spettacolo.
E non si dica neppure che queste persone sono "vittime" d'un meccanismo che approfitta delle loro debolezze per meglio "vendere", in una battaglia condotta a colpi di share, la tragedia che han subíto.
Disgusto certamente mi provocano i teleimbonitori che sull'altrui disgrazie imbastiscono programmi e si costruiscono successi giornalistici; ma un giudizio non tanto diverso - io personalmente - do a chi accetta di vendere, peggio d'una prostituta, la propria coscienza mettendola in piazza e svelando in tal modo le propri emozioni, i propri dolori, la propria intimitá al bavoso teleutente.
Il quale, a sua volta, si gode morbosamente tutti i particolari della teletragedia colla stessa curiositá che susciterebbe la visione d'uno spettacolo porno; é il particolare che fa il quadro - si dice - e piú che nella tragicitá del fatto (l'unico lato umanamente condivisibile che dovrebbe far riflettere sul senso ultimo della nostra vita e dare, quello sì, ammonimento sulle conseguenze dei nostri gesti e dei nostri pensieri) l'interesse si concentra sui particolari che, naturalmente, vengono via via sciorinati per la maggior gloria dei teleimbonitori e la maggior libidine dei telecretini: lo zio che piange, i diari della ragazzina, lo scempio del cadavere, le interviste ai "protagonisti" etc etc
Un quadro, dunque, desolante.
E tutto questo lo si gabella come "diritto/dovere d'informazione", espressione di "libertá".
Ma l'informazione, dico io, é espressione di "libertá" quando é corretta ed utile.
La morbosa e bavosa curiositá é un fatto socialmente tutelabile ?
Il "diritto/dovere d'informazione" ricomprende anche la spettacolarizzazione dei particolari osceni, delle miserie umane, degli aspetti, profondi o abissali che siano, della nostra coscienza ?
La risposta é no.
Ed il fascismo s'era data la stessa risposta, limitando la pubblicazione della cronaca nera solo allo stretto indispensabile.
Da buon padre.
Mentre questa democrazia é solo un "grande fratellastro", pornocrate ed abbruttente.