giovedì 19 aprile 2012

La c.d. "nazionalizzazione" del petrolio argentino: la montagna kirchnerista ha partorito (in ritardo) un topolino.

La recentissima misura presidenziale di "nazionalizzazione" dell''azienda petrolifera YPF, che si concluderà sicuramente colla sua approvazione alla Camera e al Senato è una miscellanea di demagogia, di falsità, di buone intenzioni e di tanta ipocrisia.
Andiamo per ordine.
La YPF è un'azienda di Stato creata negli anni venti, detentrice del monopolio relativo a ricerca, sfruttamento, distillazione e vendita del petrolio e dei suoi derivati.
Il carattere pubblico dell'azienda, anche se partecipata in vari momenti da Shell e Esso, si mantenne, di fatto, fino agli anni novanta, quando sotto la presidenza Menem, assunse la forma della società anonima e passò dapprima a una partecipazione privata pari al 46% e poi al 75%; nel 1999, YPF s.a. completò la sua privatizzazione colla vendita delle restanti quote pubbliche a Repsol; nel 2007 il presidente Nestor Kirchner - che all'epoca della presidenza Menem aveva appoggiato, quale governatore della provincia petrolifera di San Juan, la politica di privatizzazioni e lo stesso aveva fatto la moglie, allora deputata - pretese l'entrata nell'YPF del gruppo Petersen, capeggiato dal suo compare Enrique Eskenazi (tranquillizzatevi, non si tratta d'un gerarca del regime hitleriano rifugiatosi in Sudamerica).
Singolarissima la maniera che permise agli Eskenazi, gratificati da una pretesa competenza in materia petrolifera che per nulla avevano, di impadronirsi di ben il 26% delle quote YPF; anticiparono solo una minima parte del prezzo delle azioni, facendosi garantire per il saldo del residuo dai futuri dividendi della YPF; come se un quisque de populo si presentasse ad un'azienda e pretendesse, coll'avallo governativo, di comprarne una fetta promettendo di pagare coi futuri dividendi che le quote dovrebbero garantirgli in futuro; così è successo col signor Enrique Eskenazi, amico di Nestor Kirchner e da questi posto, seppur detentore di una quota minoritaria, alla presidenza del cda di YPF.
L'iniziativa di Kirchner fu giustificata dalla volontà di maggiormente "argentinizzare" la YPF; peccato però che chi formalmente acquistò le quote non era la Petersen o qualche sua affiliata argentina ma una società neozelandese e nella terra dei kiwi e non in quella delle pampas verosimilmente finirono le quote di utili - è proprio il caso di dirlo - askenaziti.
Ma tant'è.
YPF, dunque, prima della recentissima "intervención" presidenziale, stava così composta: oltre il 57% Repsol, oltre il 25% Eskenazi, 17% investitori stranieri, tra cui spiccano il gruppo Lazard Asset (filiazione dell'omonima banca d'affari) e Eton Park Management, condotta dall'ex partner di Goldman Sachs, Erich Mindich, compare d'affari dell' "ungherese" Soros (tranquilizzatevi ancora, anche se "ungherese" non è simpatizzante di Jobbik o delle Croci Frecciate), più frattocchie di proprietà statale.
Negli ultimi dieci anni la produzione petrolifera argentina si è abbassata notevolmente tanto da costringere il governo di Buenos Aires a rifornirsi sui mercati internazionali, attingendo alle proprie riserve in dollari; varie le responsabilità: sicuramente di Repsol che ha munto i pozzi petroliferi senza investire un solo dollaro in ricerca e ammodernamento degli impianti; ma ancor di più della scellerata politica petrolifera kirchnerista che: 1) imponendo a Repsol un prezzo pari a meno della metà di quello praticato sui mercati internazionali, ha determinato la compagnia spagnola a investire altrove, con la conseguente caduta della produzione interna e la necessità di ricorrere all'importazione; 2) ha imposto l'entrata del gruppo Eskenazi, i cui utili sono poi in gran parte confluiti nel pagamento del debito contratto per l'acquisto delle quote, sottratti così all'investimento; 3) ha mantenuto tale situazione fino all'altro ieri, quando ancora la Kirchner/Fernandez/Wilhelm e il suo entourage respingevano sdegnosamente come propaganda antigovernativa le critiche alle gestione YPF, fino a quel momento avallata da lei e dal defunto consorte, omettendo di contestare a Repsol tutta una serie di inadempienze che avrebbero legittimato, da anni, un provvedimento che oggi arriva a buoi già belli che scappati dalle stalle. Gli utili che nei prossimi anni lo Stato ricaverà dalla YPF - se sarà in grado di gestirla e i precedenti di questo governo sono assai poco tranquillizzanti - saranno infatti destinati a coprire le perdite dovute alla massiccia importazione di combustibili.

A coloro i quali pensano che la nazionalizzazione di YPF sia un segnale importante di sovranità politica e statale, rispondo subito:

falso allarme, non c'è stata alcuna nazionalizzazione; si è trattato della mera espropriazione del 51% del 57%di Repsol, a cui ora è rimasto il 6%; Eskenazi(ti) e fondi u.s.a. non sono stati toccati; così come rimane in mani extra-argentine e/o private il restante 65% della produzione petrolifera (dato che YPF rappresenta un terzo della produzione di combustibili); se nazionalizzazione fosse, questa dovrebbe riguardare tutto l'asset; invece sono rimasti impregiudicati gl'interessi privatistici, speculativi di compagnie dalle spalle robuste; qualche giorno addietro, in occasione del vertice degli stati americani, la Kirchner ha incontrato in un colloquio privato il presidente Obama; è fantascienza pensare che la "presidenta" l'abbia voluto rassicurare sul mantenimento delle quote degli investitori statunitensi?

Pur ritenendo comunque giusto il provvedimento espropriativo e fregandomene altamente degli scrupoli liberali (ogni Stato ha il diritto sovrano d'intervenire nei settori strategici, facendo proprie le aziende che rivestono un'importanza nazionale) anche perchè gli stessi liberali, quando vogliono privatizzare e/o liberalizzare lo fanno spesso e volentieri nei confronti di beni sociali pagati col lavoro e i sacrifici di generazioni, quindi loro stessi sono più pirati di coloro ch'essi definiscono pirati, resta il punto essenziale - che difficilmente un europeo può cogliere - della realtà sudamericana ed argentina in particolare; che cioè democrazia e spirito repubblicano costituiscono due realtà separate.

E mi spiego: in Argentina vi è sicuramente democrazia, espressa da elezioni formalmente libere, anche se naturalmente infarcite di tutte le porcherie, clientelari, di compravendita, di squilibrio mediatico che esistono in tutti gli altri sistemi democratici; ma per quello che potremmo chiamare "spirito repubblicano", ossia l'adozione e l'osservanza di regole generali di sottoposizione alla potestà della legge posta a garanzia del cittadino contro gli abusi del potere, per sancire limiti alla sua azione, ecco, questo aspetto non esiste, non ha mai attecchito,

E non sono certamente io a dolermene; in una Comunità nazionale seria, anzi, è un bene che non vi sia poichè permette a chi ha a cuore la Patria e ne ha in mano le sorti di fare quello che la nazione e l'interesse sociale esigono, senza vincoli spesso stupidi o messi magari a tutela di certi interessi astratti e/o ideologici o, il che è lo stesso, liberali.

Ma quando il potere lo prendono persone sbagliate, prive di cultura di governo, di senso dell'equilibrio, di misura e di intelligenza strategica, alla stupidità si somma la mancanza di contrappesi istituzionali e un sistema formalmente democratico ma con spirito autoritario si tramuta in un sistema di mera gestione del potere. Che è appunto quello inaugurato dal governo Menem negli anni novanta e proseguito col kirchnerismo successivamente e fino ad oggi. E dove il governo non è la proiezione dello Stato, la sua guida ma un un partito che fa gli affari propri, e sfrutta lo Stato come una mucca da mungere, per allattare sè, la famiglia e i famigli.

Chi vive gran parte del suo tempo in Argentina, come il sottoscritto, s'è reso conto del sistema di potere che la famiglia Kirchner ha messo in piedi, ultracentuplicando il proprio patrimonio, permettendo ai suoi lacchè di governo di entrare in tutti gli affari e le imprese redditizie del paese.; non sto ad elencare gli scandali che stanno scoppiando - e che coinvolgono personaggi di primissimo piano della compagine governativo - ché la citazione sarebbe noiosa, ma l'amministrazione oggi al potere, circondatasi di economisti di scuola marxista-leninista che impugnano ancora la lotta di classe come strumento interpretativo della società, oltre ad essere corrotta fino alle midolla, ha già dimostrato la sua totale icompetenza gestionale.

Due fatti lo dimostrano ampiamente: Aerolineas Argentinas, anch'essa nazionalizzata e posta sotto il management dall'enfant prodige dell'entourage kirchnerista, il rampante marxista leninista Kiciloff, sta perdendo due milioni di dollari al giorno, secondo le cifre più ottimistiche, senza che il giovanotto venga a capo del problema
E la tragedia del treno deragliato a Buenos Aires, causata dalla mancanza di manutenzione ai convogli da parte dell'impresa privata appaltatrice della tratta ferroviaria di proprietà statale. Il governo sussidia le imprese di trasporto pubblico per permetterle di mantenere bassi i prezzi dei biglietti (se no come farebbe la Kirchner a prendere il 54% dei voti?) pretendendo però che con quei sussidi l'impresa manutenga gl'impianti; peccato però che metà di quei soldi spariscano tra le righe dei bilanci e vadano a finire nei buchi neri della corruttela ormai endemica dei ministeri; e se i treni poi non frenano, non c'è da meravigliarsi.

Il processo di beatificazione della Kirchner è fondato su un falso miracolo, quello della lotta per la sovranità; è solo rampantismo, lotta per il posizionamento, risistemazione e riequilibrio di vari interessi, occasione per consolidare il potere: basti pensare che l'azienda rimarrà nella forma della società anonima e non ritornerà giuridicamente ad essere "Azienda di Stato" come lo era stata per settant'anni: il che significa che i suoi conti e la sua attività non potranno essere sottoposti al vaglio della "Auditoria Nacional", un organo deputato al controllo delle attività pubbliche.
Anche se la misura adottata appare oggettivamente ineccepibile quel che conta è che appare al tempo stesso clientelare, parziale, tardiva e inutile.
Un bluff. Null'altro che un bluff.