sabato 1 dicembre 2012

AYMERIC CHAUPRADE "DOVE VANNO LA SIRIA ED IL MEDIO ORIENTE?"

Conferenza tenuta da Aymeric Chauprade a Funglode, Saint Domingue, il 27 novembre 2012. Testo integrale.

Comprendere la geopolitica del Medio Oriente è comprendere la combinazione di multiple forze.
Vedremo che occorre considerare almeno la combinazione di 3 logiche:
- le forze interne che s’affrontano nell’ambito d’un medesimo Stato, come la Siria, l’Iraq o la Libia. Dei conflitti etnici (Curdi e Arabi), o confessionali di antica data (sciiti, sunniti, alaouiti, cristiani…);
- le logiche d’influenza dei grandi attori di potenza regionale (l’Iran, l’Arabia Saudita, il Qatar, Israele, la Turchia, l’Egitto…) e la maniera in cui questi attori utilizzano le logiche comunitarie negli Stati in cui cercano d’imporre la loro influenza (Libano, Siria, Iraq);
- il gioco delle grandi potenze (Stati-Uniti, Russia, Cina, Francia, UK…) e in particolare la geopolitica del petrolio e del gas.
A questa analisi geopolitica occorre essere capaci di accompagnare un’analisi di scienza politica e di comprendere in particolare ciò che accade sul piano delle nuove correnti ideologiche del mondo arabo oppure sul piano della legittimità dei regimi politici oggi in bilico.
D’altronde è necessario che non si creda che le dinamiche che scuotono il Medio Oriente siano troppo recenti. Non si è mai avuta stabilità in Medio Oriente nelle frontiere che oggi conosciamo. Se gli antichi parlavano in proposito di colonizzazioni e protettorati di pacificazione non era per caso. Solo le strutture imperiali, fossero l’Impero Ottomano o gli Imperi occidentali o anche in una certa misura la guerra fredda tra l’Ovest e l’Est, hanno in realtà momentaneamente congelato gli scontri di clan, tribali, etnici e confessionali dal Sahara fino ai deserti d’Arabia passando per il Croissant fertile (ndt , territorio comprendente delta del Nilo, Cipro, Israele, Mesopotamia).
In realtà vi è una costante quasi universale. Là dove dei veri e propri Stati-nazione omogenei non hanno potuto formarsi, la guerra civile è divenuta una sorta di stato instabile permanente.
Per comprendere ciò che sta accadendo in Siria e le relative prospettive, comincerò con l’iscrivere la nostra riflessione in una trama globale.
Gli Stati Uniti e i loro alleati sono usciti vittoriosi dallo scontro bipolare nel 1990 e il crollo dell’URSS ha reso possibile, allo stesso tempo, l’estensione della mondializzazione liberale a numerosi paesi del mondo e delle trasformazioni geopolitiche maggiori come la riunificazione della Germania e l’esplosione della Jugoslavia.
Gli Stati Uniti hanno cercato allora, portati da questa dinamica, d’accelerare il più possibile questo fenomeno e d’imporre l’unipolarismo, vale a dire un mondo incentrato sulla loro dominazione geopolitica, economica, culturale (softpower).
Si sono appoggiati sul diritto d’ingerenza di fronte alle purificazioni etniche o alle dittature, come sulla lotta contro l’islamismo radicale (dall’11 settembre in particolare) per accelerare il loro progetto geopolitico mondiale.
Ma non hanno tenuto in conto una logica contraddittoria: la logica multipolare che è stata in una certa maniera l’effetto boomerang dell’espansione capitalistica sostenuta dagli americani dopo la caduta dell’URSS. Drogati dalla crescita, ciò che gli americani vedevano come mercati emergenti sono divenute nazioni emergenti, desiderose di contare di nuovo nella storia, di restaurare la loro potenza e di riprendere il controllo delle loro risorse energetiche o minerali. Dalla Russia alla Cina, passando per l’India, il Brasile, la Turchia fino al Qatar, dappertutto degli Stati-nazione forti della loro coesione identitaria e delle loro aspirazioni geopolitiche, s’impegnano a giocare un ruolo geopolitico crescente.
Washington ha compreso ben presto che la Cina marciava verso il posto di prima potenza mondiale e che non si sarebbe accontentata della potenza economica ma si sarebbe impegnata a diventare anche la prima potenza geopolitica. Prospettiva incompatibile col progetto geopolitico mondiale degli Stati Uniti, che dominano ancora l’Europa con la NATO, controllano l’essenziale delle riserve petrolifere del Medio Oriente e possiedono gli oceani grazie al loro formidabile strumento navale.
In questa competizione tra Stati Uniti e Cina, che già nel Pacifico fa tornare in mente gli anni che precedettero lo scontro tra gli americani e i giapponesi nella prima parte del XX secolo, il Medio Oriente ha tutto il suo rilievo.
Il Medio Oriente rappresenta il 48,1% delle riserve dimostrate di petrolio nel 2012 (contro il 64% nel 1991) e il 38,4% delle riserve di gas (2012, BP Statistical Review; contro il 32,4% nel 1991).
Per gli USA, controllare il Medio Oriente è controllare ampiamente la dipendenza dell’Asia e in particolare quella della Cina. L’AIE (Agenzia Internazionale dell’Energia) nel suo ultimo rapporto prevede infatti che l’Asia assorbirà il 90% delle esportazioni provenienti dal Medio Oriente, nel 2035.
Come ci annunciava all’inizio del mese di novembre 2012 l’Agenzia Internazionale dell’Energia, la produzione di petrolio grezzo degli Stati Uniti supererà quello dell’Arabia Saudita verso il 2020, grazie al petrolio di scisti. Gli Stati Uniti, che importano oggi il 20% dei loro bisogni energetici, diverranno quasi autosufficienti da qui al 2035.
Ricordiamo che nel 1911, quando il governo americano spezzettò la gigantesca Standard Oil (dalla quale sono nate Exxon, Mobil, Chevron, Conoco e altre ancora), questa compagnia assumeva allora l’80% della produzione mondiale. Se gli USA ridiventano primi produttori mondiali, non faremmo che ritornare alla situazione dell’inizio del XX secolo.
Tra il 1945 ed ora, uno dei grandi problemi degli americani è stato il nazionalismo petrolifero, che dal Medio Oriente all’America Latina non ha cessato di erodere il suo controllo delle riserve e della produzione. Succede dunque esattamente ciò che scrivevo già dieci anni fa (ciò che non mi fa ringiovanire !), al momento della seconda guerra d’Iraq. Gli Stati Uniti non cercano di controllare il Medio Oriente per i propri approvvigionamenti poiché essi si approvvigioneranno sempre di meno in Medio Oriente (oggi il continente africano ha un peso maggiore nelle loro importazioni) ma cercheranno di controllare questo Medio Oriente per controllare la dipendenza dei loro concorrenti principali, europei e asiatici.
Se gli americani controllano ancora il Medio Oriente nei vent’anni (e non parlo dell’Africa che non avrà sicuramente il controllo del proprio destino e sarà senza dubbio divisa tra le influenze occidentali e quella cinese), questo significa che avranno un’influenza energetica considerevole sul mondo e dunque che il valore strategico di paesi come la Russia, il Venezuela (primo paese al mondo davanti all’Arabia Saudita in riserve certe di petrolio: 17,9% contro il 16,1%, ossia 296,5 miliardi di barili di riserve sugli 1,65 bilioni del mondo: BP 2012) o il Brasile (grazie al suo off-shore profondo) sarà allora fortemente aumentato poiché essi costituiranno delle riserve alternative preziose, l’una per l’Europa e l’Asia, l’altra per l’America Latina.
Io faccio parte di quelli che non credono alla rarefazione del petrolio. Non solo perché nei fatti, e contrariamente a tutti quelli che non hanno cessato di annunciare un peak oil che non s’è mai realizzato, le riserve dimostrate non hanno mai cessato d’aumentare e che le prospettive con l’off-shore profondo e il petrolio di scisti sono gigantesche, ma oltre a ciò, perché sono convintissimo della tesi detta abiotica dell’origine del petrolio, vale a dire che il petrolio non ha per origine la decomposizione dei dinosauri nelle fosse sedimentarie ma è un liquido abbondante che scorre sotto il mantello della terra, che è prodotto a temperature e pressioni formidabili ed a profondità incredibili, e che conseguentemente quello che estraiamo è ciò che è risalito da profondità della terra attraverso la fratturazione del mantello.
Non abbiamo il tempo d’entrare in questo dibattito scientifico ma a seconda della spiegazione biotica o abiotica le conseguenze nel campo della geopolitica sono radicalmente differenti. Se il petrolio ha un’origine biotica la questione è certamente quella dell’esaurimento e delle conseguenze geopolitiche della rarefazione e poi dell’esaurimento. Se il petrolio ha un’origine abiotica, la posta in gioco è invece l’off-shore profondo e tutte le tecniche di fratturazione che permettano di far risalire il prezioso liquido dalle profondità del mantello.
Ma ritorniamo al petrolio del Medio Oriente e rammentiamo alcuni fatti essenziali.
Distruggendo il regime di Saddam Hussein, gli americani hanno ucciso nella culla due logiche ch’essi combattevano da sempre:
- il nazionalismo petrolifero in Iraq. Ed ora hanno di mira ormai il nazionalismo petrolifero iraniano;
- il rischio di uscita dal petro-dollaro: il fatto d’accettare il pagamento del petrolio in euro o in altra divisa diversa dal dollaro; ciò che Saddam Hussein aveva annunciato voler fare nel 2002 e che gli iraniani fanno oggi e che spiega ampiamente perché gli americani impongono un embargo drastico sugli idrocarburi iraniani.
Il legame tra petrolio e dollaro costituisce una delle componenti essenziali della potenza del dollaro. Esso giustifica il fatto che i paesi dispongano di riserve considerevoli in dollari per poter pagare il petrolio e, conseguentemente, che il dollaro sia una moneta principale di riserva. Ne consegue che questo legame petrolio/dollaro è ciò che permette agli Stati Uniti di finanziare il loro formidabile deficit budgetario e di permettersi un debito federale superiore ai 15.000 miliardi di dollari. Oggigiorno tutti parlano del debito e della crisi europee ma gli Stati Uniti sono, sul piano dell’indebitamento (federale, degli Stati, delle famiglie)in una situazione ben peggiore che gli europei. Ciò nonostante il loro scudo si chiama “dollaro” e si può pensare ch’essi abbiano utilizzato il tallone d’Achille greco degli europei per indebolire l’Unione Europea e rendere fragile l’euro. Immaginatevi che la crisi della Grecia non fosse scoppiata ed allora avrete ciò che accadeva prima della sua deflagrazione: le banche centrali dei paesi emergenti avrebbero continuato ad accumulare euro e a diminuire le loro riserve in dollari…Si capisce quindi ancor meglio perché la Grecia sia stata consigliata da Goldman Sachs e J.P.Morgan.
Imponendo un embargo drastico sull’Iran (9.1% delle riserve certe secondo BP 2012, ossia il terzo posto mondiale; 15,9% delle riserve certe di gas, ossia il secondo posto dietro la Russia con il 21,4% e davanti al Qatar col 12%) gli americani tentano così di spezzare uno degli ultimi paesi che vogliono controllare il proprio sistema di produzione petrolifera e di gas.
Qual è dunque il legame con la Siria? Se ne parla poco, ma la Siria gioca un ruolo strategico nelle logiche del petrolio e del gas in Medio Oriente.
Ebbene, nel 2009 e nel 2010, poco prima dello scoppio della guerra, la Siria ha operato delle scelte che sono fortemente dispiaciute all’Occidente.
Quali i dati del problema?
Dalla fine della guerra fredda gli Stati Uniti hanno cercato di rompere la dipendenza dell’Unione Europea dal gas e dal petrolio russi. Per questo hanno favorito degli oleodotti e gasdotti che s’alimentano alle riserve d’Asia centrale e del Caucaso ma che evitano accuratamente di attraversare lo spazio d’influenza russa.
Hanno in particolar modo incoraggiato il progetto “Nabucco” che parte dall’Asia centrale, passa per la Turchia (per le infrastrutture di stoccaggio) mirando così a rendere l’Unione Europea dipendente dalla Turchia (ricordiamo che gli americani sostengono ardentemente l’inclusione della Turchia nell’UE per il semplice motivo che non vogliono un’Europa-potenza), poi per la Bulgaria, Romania, Ungheria, Austria, Repubblica Ceca, Croazia, Slovenia e Italia.
“Nabucco” è stato chiaramente lanciato per far concorrenza a due progetti russi oggi in funzione:
- Northstream che collega direttamente la Russia alla Germania senza passare per l’Ucraina e la Bielorussia;
- Southstream che collega la Russia all’Europa del sud (Italia, Grecia) e all’Europa Centrale (Austria-Ungheria).
Però “Nabucco” manca d’approvvigionamenti e per far concorrenza ai progetti russi occorrerebbe la possibilità d’accedere:
1/ al gas iraniano che raggiungerebbe il punto di raccolta di Erzurum in Turchia;
2/ al gas del Mediterraneo orientale : Siria, Libano, Israele.
A proposito di quest’ultimo è essenziale sapere che dal 2009 degli sconvolgimenti considerevoli si sono prodotti nella regione.
Delle scoperte spettacolari di gas e di petrolio hanno avuto luogo nel Mediterraneo orientale, nel bacino del Levante da una parte, nel mar Egeo dall’altra.
Queste scoperte acuiscono fortemente i contenziosi tra Turchia, Grecia, Cipro, Israele, Libano e Siria.
Nel 2009 la compagnia americana Noble Energy, partner di Israele per la prospezione, ha scoperto il giacimento di Tamar a 80 km da Haifa. E’ stata la più grande scoperta mondiale di gas del 2009 (283 miliardi di m3 di gas naturale) e nel 2009, dunque, lo statuto energetico d’Israele è radicalmente cambiato, passando da una situazione quasi critica (poco più di 3 anni di riserve e una fortissima dipendenza di fronte all’Egitto) a delle eccellenti prospettive. Poi nel dicembre 2010, una scoperta ancor più considerevole ha di colpo dato ad Israele più di 100 anni di autosufficienza in materia di gas! Israele ha scoperto un mega-giacimento off-shore di gas naturale che valuta essere nella sua “zona economica esclusiva”: il giacimento Leviathan.
Leviathan è situato a 135 km ad ovest del porto di Haifa, lo si perfora a 5000 metri di profondità, con 3 compagnie israeliane e la nota compagnia americana Noble Energy. Le sue riserve sono stimate in 450 miliardi di m3 (per avere un ordine di grandezza, le riserve mondiali certe di gas nel 2011 sono di 208,4 bilioni di m3, ossia 208.400 miliardi di m3 e un paese come la Russia ne possiede 44,6 bilioni). In ogni caso nel 2010 Leviathan è stata la più importante scoperta di gas in acque profonde di questi ultimi dieci anni.
Non do qui dettagli sulle scoperte fatte parallelamente nel mar Egeo, ma esse sono considerevoli e vi domando semplicemente di tenere in considerazione che la Grecia è ormai un paese estremamente potenziale sul piano del gas, ciò che forse ha a che vedere con lo scatenamento d’una crisi europea che porterà presto…alla privatizzazione totale del sistema energetico greco…
Ecco ciò che la US Geological Survey stima a proposito del Mediterraneo orientale (formato nella fattispecie da tre bacini: bacino egeo al largo delle coste greche, turche e cipriote; bacino del Levante al largo delle coste del libano, Israele e Siria; bacino del Nilo al largo delle coste egiziane) :
“Le risorse petrolifere e di gas del bacino del Levante sono stimate a 1,68 miliardi di barili di petrolio e 3450 miliardi di m3 di gas” “le risorse non scoperte di petrolio e gas della provincia del bacino del Nilo sono stimate a circa 1,76 miliardi di barili di petrolio e 6850 miliardi di m3 di gas naturale”.
La USGS stima che il bacino della Siberia occidentale (il più gran bacino di gas conosciuto) raccoglie 18.200 miliardi di m3 di gas. In poche parole, trattandosi del solo gas, il bacino del Levante rappresenta più della metà del bacino della Siberia occidentale.
Evidentemente queste scoperte hanno acuito le rivalità tra Stati vicini. Israele e Libano rivendicano ciascuno la sovranità su queste riserve e una delle dispute profonde tra il presidente Obama e Benjamin Netanyahu sta nel fatto che gli Stati Uniti nel 2011 hanno appoggiato la posizione libanese contro Israele (poiché Beyruth ritiene che il giacimento si estende anche sotto le sue acque territoriali): sembrerebbe che la posizione americana miri da una parte a mantenere la divisione per giocare un ruolo di mediazione, dall’altra a impedire ad Israele di diventare un attore autosufficiente).
Ora, la questione siriana si trova nel cuore di queste problematiche.
In primo luogo quelle riguardanti “Nabucco”.
Nel novembre 2010, l’Arabia Saudita ed il Qatar hanno chiesto a Bachar el Assad di poter aprire degli oleodotti e gasdotti d’esportazione verso il Mediterraneo orientale. Questi oleodotti avrebbero loro permesso infatti di allentare l’obbligo del trasporto marittimo attraverso lo stretto d’Ormuz poi il canale di Suez e d’inviare maggior quantità di gas verso l’Europa (particolarmente il Qatar, gigante del gas del Medio Oriente). La Siria ha rifiutato, con il marcato sostegno della Russia che vede in questi piani la volontà americana, francese, saudita e del Qatar di diminuire la dipendenza europea dal gas russo.
Si comprende dunque la competizione che si gioca tra, da una parte, gli occidentali, la Turchia e le monarchie del golfo, dall’altra la Russia, l’Iran e la Siria, ai quali s’è aggiunto l’Iraq diretto dallo sciita Maliki e che si è fortemente ravvicinato a Teheran e Damasco a svantaggio degli americani.
Nel febbraio 2011 i primi torbidi scoppiano in Siria, torbidi che non hanno cessato d’amplificarsi con l’ingerenza, da una parte dei combattenti islamisti finanziati dal Qatar e dall’Arabia saudita, dall’altra dall’azione segreta degli occidentali (americani, britannici e francesi).
Il 25 luglio 2011, l’Iran ha sottoscritto degli accordi riguardanti il trasporto del suo gas via Siria e Iraq. Questo accordo fa della Siria il principale centro di stoccaggio e di produzione, in collegamento col Libano e l’idea di Teheran è di allentare così la costrizione dell’embargo. Congelato dalla guerra, il cantiere avrebbe stranamente ripreso il 19 novembre 2012, dopo l’elezione di Obama dunque e la ripresa delle negoziazioni segrete tra gli Stati Uniti e l’Iran.
Dal fatto stesso della sua posizione centrale tra i giacimenti di produzione dell’est (Iraq, monarchie petrolifere) e il Mediterraneo orientale, attraverso il porto di Tartous, che apre la via dell’esportazioni verso l’Europa, la Siria è una posta in gioco strategica di primo piano.
Aggiungiamo a ciò la questione dell’evacuazione del petrolio curdo.
Esiste un oleodotto che oggi incammina il petrolio di Kirkurk (Kurdistan iracheno) attraverso l’Iraq poi la Giordania ed infine Israele. Ma Israele potrebbe così veder rimesso in circolo il vecchio oleodotto Mossoul Haifa (che i Britannici utilizzarono dal 1935 al 1948).
Aggiungiamo a questo che la Siria dispone di riserve nel suo suolo e probabilmente off-shore. Il 16 agosto 2011, il ministero siriano del petrolio ha annunciato la scoperta d’un giacimento di gas a Qara, vicino a Homs, con una capacità di produzione di 400.000 m3 al giorno. Trattando di off-shore, noi abbiamo appena parlato delle stime dell’USGS riguardanti il bacino di Levante, occorre aggiungere questa previsione del Washington Institute for Near East Policy che reputa che la Siria disporrebbe delle riserve di gas più importanti di tutto il bacino mediterraneo orientale, ben superiori ancora a quelle di Israele. Ben potete vedere qui ancora il mio leit motiv e ciò che ho sempre ripetuto: l’avvenire è l’off-shore profondo e questo va a dare al mare una dimensione geopolitica considerevole. Abbandonare il mare e il proprio spazio marittimo è dunque, per qualsiasi paese al mondo, un errore strategico tragico.
E’ dunque evidente che se un cambiamento politico favorevole agli occidentali, ai turchi, sauditi e al Qatar intervenisse in Siria e questa s’isolasse dalla Russia (le navi da guerra russe sono ancorate nel porto strategico di Tartous, che può sicuramente accogliere petroliere rifornite dagli oleodotti che vi giungono), allora tutta la geopolitica energetica della regione sarebbe sconvolta a loro vantaggio. Non dimentichiamo l’Egitto, esportatore di gas naturale, il quale pure s’augurerebbe di vedere il proprio gas raccordato alla Turchia attraverso la Siria.
Questo semplice dato riguardante petrolio e gas deve farci comprendere la ragione per la quale la Siria è attaccata da turchi, occidentali e monarchie del Golfo e, inversamente, perché essa non è abbandonata né dai russi, né dagli iraniani né dagli iracheni.
Occorre ora comprendere le dinamiche geopolitiche interne della Siria.
La Siria è un paese di poco più di venti milioni d’abitanti: 80% d’arabi sunniti, 10% di alaouiti, una forma d’Islam collegata allo sciismo ma non quello dell’Iran) e 10% di cristiani.
Bachar el Assad ha al suo fianco due milioni di alaouiti ancora più risoluti di lui a battersi per la propria sopravvivenza e parecchi milioni appartenenti a minoranze che non vogliono una gestione sunnita del potere.
Occorre capire chi sono questi alaouiti. Si tratta d’una comunità sorta, al X secolo, alle frontiere dell’impero arabe e di quello bizantino, da una lontana scissione dello sciismo e che pratica un sincretismo comprendente elementi dello sciismo, del panteismo ellenistico, del mazdeismo persiano e del cristianesimo bizantino. E’ assai importante per la nostra analisi di sapere che gli alaouiti sono considerati dall’Islam sunnita come i peggiori degli eretici. Nel XIV secolo, il giureconsulto salafista Ibn Taymiyya, precursore dell’attuale wahhabismo e punto di riferimento di peso per gli islamisti del mondo intero, ha emesso una fatwa con cui si chiede la loro persecuzione sistematica ed il loro genocidio.
Questa fatwa è sempre d’attualità presso i salafiti, gli wahhabiti e i Fratelli musulmani, vale a dire tutti quelli che il potere alaouita sta affrontando in questo momento !
Prima del colpo di Stato di Hafez el Assad nel 1970, gli alaouiti non conobbero che persecuzione da parte dell’Islam dominante, il sunnismo.
Occorre inoltre sapere che ancora fino al 1970, i borghesi sunniti acquistavano per contratto notarile dei giovani schiavi alaouiti.
Le cose si sistemarono con l’installazione dell’ideologia nazionalista baathista nel 1963, che poneva il fattore dell’appartenenza araba in primo piano sopra ogni altra considerazione, e ciò soprattutto a partire dal 1970.
Riassumendo, la guerra di oggi non è che il nuovo sanguinoso episodio della guerra dei partigiani d’Ibn Taymiyya contro gli eretici alaouiti, una guerra che dura dal XIV secolo ! Questa fatwa è a mio avviso la fonte d’un nuovo genocidio potenziale (simile a quello del Ruanda) se il regime cadesse. Ecco un dato essenziale che gli occidentali fanno finta tuttavia d’ignorare.
Cacciati e perseguitati per secoli, gli alaouiti dovettero rifugiarsi nelle aride montagne costiere tra il Libano e l’attuale Turchia dando al loro credo un lato ermetico ed esoterico, autorizzandosi pure alla menzogna e alla dissimulazione (la famosa Taqqiya) per sfuggire ai loro torturatori.
Ma allora ci si può domandare: come hanno fatto questi alaouiti a giungere al potere?
Sottomessa alle occupazioni militari straniere da secoli, la borghesia sunnita della Siria (un simile processo si è prodotto in Libano) ha commesso l’errore abituale dei ricchi al momento dell’indipendenza del paese, nel 1943. Il mestiere delle armi è stato relegato ai poveri e non ai figli di “buona famiglia”. L’esercito è stato dunque costituito dalle minoranze: una maggioranza di alaouiti ma anche di cristiani, ismaeliti, drusi, sciiti.
Hafez el-Assad veniva da una di queste modeste famiglie della comunità alaouita. E’ divenuto capo dell’armata dell’aria poi ministro della difesa prima d’impadronirsi del potere attraverso un atto di forza al fine di dare alla propria comunità la sua rivincita sulla storia (coi suoi alleati drusi e cristiani).
Ben comprendete dunque con immediatezza che il regime, sostenuto da due milioni di alaouiti, senza dubbio da due a tre milioni di altre minoranze ma anche da una parte della borghesia sunnita, particolarmente di Damasco, i cui interessi economici sono ormai legati alla dittatura, non ha altra scelta che quella di lottare fino alla morte.
Quando dico lottare a morte, parlo del regime che io distinguo da Bachar el Assad. Il regime è più potente di Bachar e può sbarazzarsene se valuta che ne va della propria sopravvivenza. Ma eventualmente sbarazzarsene non significa certo installare una democrazia che porterebbe ineluttabilmente (matematicamente) al trionfo degli islamisti, come in Tunisia, in Libia, in Egitto, nello Yemen…
I cristiani di Siria hanno visto ciò che è accaduto ai cristiani d’Iraq dopo la caduta di Saddam Hussein. Vedono ciò che succede oggi in Egitto ai Copti, dopo la vittoria degli islamisti. Anche i drusi sanno, come gli alaouiti, di essere considerati come eretici da distruggere dai combattenti salafiti e dai Fratelli musulmani.
E’ assolutamente illusorio pensare, come si fa in Occidente, che gli alaouiti accetteranno delle riforme democratiche che condurrebbero meccanicamente i salafiti al potere.
Lo ripeto: l’errore consiste nel pensare che il paese sia entrato in guerra civile nel 2011. Lo era già nel 1980 quando un commando di Fratelli musulmani s’introdusse nella scuola cadetti dell’armata dell’aria di Aleppo, mise da parte degli allievi ufficiali sunniti ed alaouiti e massacrò ottanta cadetti alaouiti in applicazione della fatwa d’Ibn Taymiyya. I Fratelli musulmani la pagarono cara nel 1982 a Hama, feudo della confraternita, che lo zio dell’attuale presidente rase al suolo facendovi presumibilmente 20.000 morti. Le violenze infracomunitarie in realtà non hanno mai cessato ma questo ben poco interessava all’Occidente poiché non v’era in quel momento nessuna agenda che contemplasse petrolio e gas con riguardo alla Siria, né nessuna agenda concernente l’Iran.
Si dice che il regime è brutale ed esso è evidentemente d’una incredibile brutalità ma non è il regime in sé che è brutale. La Siria è passata dall’occupazione ottomana e i suoi metodi di scorticamento vivo al mandato francese dal 1920 al 1943, ai vecchi nazisti rifugiatisi a partire dal 1945 che sono divenuti consiglieri tecnici e successivamente ai consiglieri del KGB. E’ evidente che non ci sia nulla da sperare da questo regime in materia di diritti dell’uomo, di riforme democratiche…Ma neppure v’è nulla da attendersi dai ribelli islamisti che vogliono prendere il potere e che dispongono d’una fatwa fondamentale per organizzare un vero e proprio genocidio degli alaouiti. E d’altronde ci si aspetta qualche cosa dall’Arabia Saudita in materia di diritti dell’uomo?
Abbiamo un vero problema di trattamento dell’informazione a proposito della Siria, come l’avemmo ieri trattandosi dell’Iraq, della Jugoslavia, della Libia. Una volta di più il manicheismo mediatico occidentale è all’opera, la macchina per fabbricare i Buoni e i Cattivi, in realtà in funzione degli interessi occidentali. La fonte unica, e io dico proprio unica, dei media occidentali è l’ OSDH (Osservatorio siriano dei diritti dell’uomo) il quale dà ad esempio all’Agence France Presse lo stato della situazione in Siria, il numero dei morti, dei feriti, le violenze etc …
Allora, cos’è l’OSDH? Si tratta d’una emanazione dei Fratelli musulmani che è diretta da militanti islamisti ed il cui fondatore, Ryadh el Maleh, è stato condannato per atti di violenza. Ha base a Londra dalla fine degli anni ottanta, è sotto la protezione dei servizi britannici ed americani e riceve dei fondi dal Qatar e dall’Arabia Saudita.
Oltre l’OSDH come riferimento mediatico, il referente politico dei media occidentali è il Consiglio Nazionale Siriano, creato nel 2011, a Istanbul, sul modello del CNT libico e su iniziativa del partito islamista turco, l’AKP.
Finanziato dal Qatar, il CNS è stato sciolto nella sua forma iniziale alla conferenza di Doha, all’inizio del mese di novembre 2012, da Washington. Gli Stati Uniti consideravano infatti da mesi che esso non era abbastanza rappresentativo e hanno fatto nascere al suo posto la Coalizione delle Forze dell’opposizione e della rivoluzione. La verità è che gli americani trovavano che la Francia avesse troppa influenza su quel Consiglio dove aveva piazzato l’oppositore siriano sunnita Burhan Ghalioun, professore di Sociologia alla Sorbona. Si ritrova qui una competizione franco-americana simile a quella che s’è prodotta in Libia, dove poco a poco l’influenza francese sui ribelli anti-Gheddafi è stata annullata dall’azione sotterranea degli americani. E’ bene dire che se la Francia conta su dei professori di sociologia per difendere i propri interessi in Medio Oriente, ella s’espone ad un bel po’ d’inconvenienti…
A manovrare dietro le quinte il temibile e assai intelligente ambasciatore americano Robert S.Ford, considerato come il principale specialista del Medio Oriente al dipartimento di Stato; egli fu l’assistente di John Negroponte dal 2004 al 2006 in Iraq dove applicò lo stesso metodo che in Honduras: l’utilizzo intensivo degli squadroni della morte. Poco prima degli avvenimenti in Siria fu nominato da Obama ambasciatore a Damasco e assunse le funzioni malgrado l’opposizione del Senato.
Quest’ambasciatore ha fatto porre alla testa della Coalizione delle Forze dell’opposizione e della rivoluzione una persona di cui la stampa non parla: lo sceicco Ahmad Moaz Al-Khatib.
Il suo percorso è interessante e capirete presto perché mi ci soffermo.
Egli è un ingegnere in geofisica che ha lavorato sei anni per la al-Furat Petroleum Company (1985-1991), una joint venture tra la compagnia nazionale siriana e delle compagnie straniere, tra cui l’anglo-olandese Shell. Nel 1992, eredita da suo padre la prestigiosa carica di predicatore della moschea degli Ommeyyades a Damasco. E’ immediatamente rilevato dalle sue funzioni dal regime baathista ed interdetto da ogni esercizio di predica in tutta la Siria. Perché? Perché in quell’epoca la Siria sostiene l’operazione americana “tempesta nel deserto” per liberare il Kuwait e lo sceicco vi si è opposto per gli stessi motivi religiosi impugnati da Osama Bin Laden: non vuole la presenza occidentale sopra la terra d’Arabia. Questo sceicco si trasferisce in seguito in Qatar poi, nel 2003-2004, ritorna in Siria come lobbysta del gruppo Shell. Ritorna nuovamente in Siria all’inizio del 2012 dove infiamma il quartiere di Douma (sobborgo di Damasco). Arrestato poi amnistiato lascia il paese in luglio e s’installa al Cairo.
La sua famiglia è proprio di tradizione sufi, dunque normalmente moderata ma contrariamente a quel che dice l’AFP, è membro della confraternita dei Fratelli musulmani e l’ha mostrato durante il suo discorso d’investitura a Doha. In breve, come Hamid Karzai in Afghanistan, gli americani hanno fatto uscire dal loro cilindro un lobbysta petroliere !
Ora che abbiamo fornito degli elementi d’analisi sulle forze interne alla Siria, guardiamo il gioco delle forze regionali esterne.
Come ho detto, la crisi siriana è scoppiata a causa dell’ingerenza saudita e del Qatar (sostenuta dall’ingerenze francese, britannica ed americana). L’Arabia Saudita ed il Qatar, ciascuno colle proprie clientele, difendono un progetto islamista sunnita per il Medio Oriente. Dalla Libia fino alla Tunisia e l’Egitto hanno sostenuto la primavera araba, si può anche dire che l’abbiano suscitata, portando al potere i Fratelli musulmani e i salafiti, essi stessi in concorrenza per la creazione d’una società arabo islamica riunificata in un solo e medesimo Stato islamico. Ci si potrebbe d’altronde interrogare sulla strana simmetria tra le rivoluzioni colorate sostenute dagli americani alla periferia della Russia all’inizio degli anni 2000 e le rivoluzioni arabe sostenute dal Qatar, l’Arabia Saudita e senza dubbio anche discretamente da Washington, all’inizio del 2010.
In compenso Ryad e Doha hanno bloccato sul nascere lo sbocciare d’una primavera sciita nel Bahrein intervenendovi militarmente per salvare la monarchia sunnita di fronte alla sollevazione sciita (ricordiamo che gli sciiti rappresentano il 70% della popolazione del Bahrein e non è per nulla trascurabile pure in Kuwait o negli Emirati). Fu, nel 2011, la seconda volta dopo la guerra del Kuwait che l’accordo reciproco di protezione del Consiglio di Cooperazione del Golfo, detto Scudo del deserto, fu messo in opera.
La primavera araba, di cui certi sottolineano, a giusto titolo, che s’è di fatto trasformata in inverno islamista, ha giovato fortemente ai paesi sunniti del Golfo sul piano economico. Dopo la crisi del 2008 che aveva particolarmente toccato gli Emirati Arabi Uniti, le monarchie sunnite del Golfo hanno visto affluire le fortune ammassate sotto le dittature tunisina, libica, egiziana. Questo danaro accumulato sotto i regimi crollati o che stavano per affondare non può più andare in Europa e neppure in Svizzera poiché le regole bancarie (compliance) non lo permettono veramente più. Si dirige dunque essenzialmente verso Dubai.
D’altronde, la caduta delle esportazioni di petrolio e gas libico, dovuta alla guerra del 2011 in Libia, è stata compensata da un aumento sensibile della produzione delle esportazioni dell’Arabia Saudita, del Qatar, degli Emirati Arabi Uniti, ciò che ha drogato l’economia di questi paesi nel 2011 e 2012.
Di fronte al gioco sunnita delle monarchie del Golfo, l’Iraq dominato dagli sciiti, naturalmente l’Iran e la Siria hanno formato un asse che si può qualificare come sciita, poiché gli alaouiti sono un ramo particolare dello sciismo, e che cerca di resistere alla terribile alleanza Occidente/Turchia/Monarchie sunnite del Golfo.
In questo gioco complesso si pone allora la questione del gioco d’Israele. Paradossalmente è forse il meno semplice e l’errore consisterebbe nel voler vedere Israele, con faciloneria, come “la mano nascosta che dirige”.
Israele, in effetti, ha per lungo tempo avuto come nemico principale il nazionalismo arabo. L’ideologia baathista ha combattuto l’esistenza di Israele e sostenuto il diritto dei palestinesi a recuperare la loro terra. Il progetto d’un mondo arabo unificato, sviluppato e modernizzato economicamente grazie alle risorse petrolifere, ed avanzate verso l’arma atomica (Iraq) ha a lungo costituito l’incubo principale di Tel Aviv.
Ma il nasserismo è morto, poi il baathismo iracheno dopo di lui, Resta oggi il baathismo siriano, ma è indebolito ed il sogno della Grande Siria nutrito da Damasco si pone in contraddizione da molto tempo col nazionalismo palestinese.
Il problema principale d’Israele ora, sono i Fratelli musulmani che trionfano dappertutto, Essi hanno cominciato ad installarsi attraverso Hamas a Gaza (in concorrenza con l’OLP che mantiene la Cisgiordania e questa divisione tra i palestinesi è conforme agli interessi israeliani); sono al potere in Turchia allorché l’esercito turco è stato a lungo un alleato fidato di Israele; ora l’AKP costituisce un problema per gli israeliani (ricordatevi dell’episodio della flotta di Gaza); i Fratelli musulmani sono anche al potere in Egitto dalla caduta di Mubarak (Egitto con cui, dal 1978, gli israeliani hanno un accordo di pace), sono forti in Giordania (con cui c’è un accordo di pace dal 1995), lo sono in Tunisia, in Libia, sono minoritari in Siria e cercano di prendere il potere…In breve, Israele assiste a una marea montante di Fratelli musulmani e di salafiti che invade tutto il Medio Oriente e avanza minaccioso alle sue porte e costoro non sono particolarmente favorevoli al riconoscimento del diritto d’Israele di vivere in pace. Il loro progetto di Stato islamico unificato vede Israele come gli Stati latini crociati del Medio Evo.
Ben lungi quindi la certezza che la politica americana di sostegno agli islamisti sia unanimemente approvata presso gl’israeliani. Questi si sentono sempre più soli. Questa politica pro-islamica dell’Occidente potrebbe anche spingere Israele a trovare dei padrini più fidati degli americani, la Russia, la Cina o l’India (che coopera già militarmente ed in maniera rilevante con Israele nel confronto col Pakistan)…
Israele si prepara senza dubbio, in un Medio Oriente in cui gli Stati di oggi cederebbero sempre più il posto a degli Stati o a regioni autonome omogenee sul piano confessionale (sunniti, sciiti, alaouiti…) o etnici (curdi di fronte agli arabi) a delle nuove alleanze alfine di contrastare il pericolo islamista sunnita.
Non si può escludere così’ un capovolgimento della storia in cui Israele potrebbe nuovamente avvicinarsi all’Iran, intendersi con un Iraq dominato dagli sciiti, ciò che gli permetterebbe di estinguere il problema di Hezbollah libanese, sostenere un piccolo ridotto alaouita in Siria, ugualmente uno Stato curdo …Non dimentichiamoci infatti che il problema principale che determina tutto per gl’israeliani è quello palestinese. Se i palestinesi di Hamas si gettano nelle braccia del Qatar e dell’Arabia Saudita (ricordiamoci della visita storica dell’emiro del Qatar all’inizio di novembre a Gaza), allora l’ipotesi dell’alleanza sciita non è da escludersi.
Come ho già detto, un dato essenziale è che sul piano energetico Israele dispone dell’autosufficienza per il gas e che sul piano petrolifero nulla impedisce domani, se vi fosse il capovolgimento strategico, che il petrolio gli giunga dal Kurdistan iracheno o dagli sciiti dell’Iraq o dell’Iran.
Il nucleare iraniano in tutto questo? La risposta alla prospettiva del nucleare iraniano è vostro avviso in una guerra suicida contro l’Iran o in un’intesa con un futuro Iran nucleare contro l’Islam sunnita? La risposta mi sembra contenuta nella domanda.
Credo personalmente che la relazione USA/Israele è destinata ad allentarsi semplicemente perché gli americani sono sempre meno governati da WASP (white anglo-saxons protestants) che per molti erano convinti della dimensione sacra d’Israele (cristiani sionisti) e che per ragioni identitarie (cambiamento etnico della popolazione statunitense) questo fenomeno è quasi irreversibile. Credo che lo stesso problema si ponga in Europa. Il cambiamento di popolazione nell’Europa dell’ovest, l’islamizzazione d’una parte della popolazione va a contribuire all’installazione durevole di governi di sinistra o socialdemocratici che saranno sempre meno favorevoli ad Israele e sempre più influenzati da minoranze musulmane attive. Un indicatore di questa tendenza di fondo è che la maggioranza delle estreme destre europee che avevano una tradizione antisemita stanno diventando al contrario antimusulmane e proisraeliane.
In conclusione cerchiamo di tracciare qualche prospettiva, anche se è assai difficile predire l’avvenire in Medio Oriente.
In primo luogo, anche se ha di fronte a sé la maggioranza della sua popolazione, penso che il regime siriano può tenere a lungo poiché non è isolato. In secondo luogo, la sua coesione interna è forte per le ragioni che evocavo (una guerra di sopravvivenza per le minoranze confessionali al potere); in terzo luogo il sostegno della Russia è fermo. E il regime, infine, non è rinserrato in una enclave poiché è legato ai suoi vicini iracheno ed iraniano che lo sostengono.
Dunque la situazione attuale può perdurare ed il conflitto deteriorarsi. 37.000 morti secondo l’ODSH (fonte, la ribellione) al 10 novembre 2012 e 400.000 rifugiati siriani (Turchia, Libano, Giordania, Iraq)? Certamente sono cifre enormi, ma numerose sono anche le guerre civili che hanno superato 100.000 morti e che si sono risolte col ritorno agli equilibri iniziali. Non è il numero dei morti o anche la maggioranza che determinano l’esito: sono i rapporti di forza reali, interni, regionali e mondiali.
Se il regime comunque arrivasse a crollare, io non considererei neppure per un secondo la possibilità per le minoranze d’accettare di restare nel quadro nazionale attuale senza l’ottenimento di garanzie occidentali estremamente forti quanto alla loro sicurezza fisica. E anche con queste garanzie avrei dei dubbi. Esse segnerebbero la loro sentenza di morte ove si consideri che. stranamente, i francesi e gli americani che sostengono ed armano la ribellione non hanno domandato alcun impegno “anti-genocidio” dopo l’eventuale caduta di Bachar. Si può immaginare allora l’Iran e l’Iraq o accogliere queste minoranze, o favorire, con l’appoggio della Russia, la formazione d’un ridotto alaouita con, in particolare, un corridoio strategico fino a Tartous. Ma il problema resterebbe intero poiché ciò che vogliono gli occidentali è l’accesso siriano al Mediterraneo ed il transito petroliero e del gas attraverso il territorio della Siria.
Ma a rischio di sorprendervi, penso che l’abbassamento della mediatizzazione da parte dell’Occidente del conflitto siriano è il sintomo d’una realtà: l’Occidente sta per perdere la guerra in Siria. Esso può sostenere il terrorismo a Damasco e contro le forze di sicurezza, le quali oppongono una repressione crudele, ma non dispongono della capacità d’abbattere l’apparato di sicurezza siriano. L’esercito siriano dispone del dominio dello spazio aereo e non sarà certo dall’oggi al domani che la Francia e gli Stati Uniti si prenderanno la responsabilità d’una guerra mondiale con la Russia. Dunque credo che il regime terrà. Si è arrivati alla situazione strana in cui la Francia deve regolare il problema di Al Qaida nel Mali e sostiene indirettamente Al Qaida in Siria. Il mondo è decisamente folle.
Una volta di più, tutto riporta alla questione iraniana. L’Iran è la chiave del futuro Medio Oriente. Se l’Iran ritorna alla sua alleanza strategica con gli Stati Uniti precedente alla rivoluzione sciita islamica del 1979, allora si può pensare che gli Stati Uniti ed Israele s’appoggeranno sullo sciismo per fare da contrappeso ad un Islam sunnita globalmente ostile all’Occidente. Ma un’altra ipotesi è possibile: che gli USA, la Francia (non dimentichiamo che le priorità oggi sono Doha e Ryad) e la Gran Bretagna, vicini alla Turchia (membro della NATO) restano fortemente alleate alle monarchie sunnite e trattengono dei buoni rapporti con le repubbliche dominate dai Fratelli musulmani (Tunisia, Egitto, ma quid dell’Algeria domani?) ed allora non si può escludere che Israele si stacchi dall’Occidente per ravvicinarsi ad un asse Russia/mondo sciita ostile alla Turchia e alle monarchie petrolifere.
Resta in sospeso anche l’eterna questione curda con il gioco della Turchia.
Infine non si dovrebbero dimenticare le inquietanti evoluzioni in certi paesi d’Europa dell’ovest come la Francia, il Regno Unito, il Belgio, paesi dove delle minoranze musulmane sunnite sempre più strutturate sul piano identitario, sempre più rivendicative sul piano dell’Islam, sempre più finanziate dalle monarchie sunnite (vedere gli investimenti del Qatar in Francia), vanno senza dubbio a giocare un ruolo crescente nella definizione delle politiche estere di questi paesi. Come sapete, in materia di politica estera (lo si è visto a lungo trattando della lobby ebrea negli Stati Uniti) non sono le maggioranze dormienti che pesano nella decisione, sono al contrario le minoranze attive organizzate. Ora nell’ovest d’Europa, ciò che si è a lungo chiamata la lobby ebrea è sempre più debole e subisce la concorrenza della lobby pro musulmana o pro araba, particolarmente nei partiti di sinistra.
Una cosa, alla fine, è certa: prima che noi giungiamo a dei nuovi equilibri nel Medio Oriente, il cammino sarà lastricato di numerose sofferenze…
Aymeric Chauprade