mercoledì 26 ottobre 2011

PERONISMO / PERONISMI

La vittoria di Cristina Kirchner alle elezioni presidenziali e quella del suo raggruppamento (Frente para la Victoria) per il rinnovo parziale di camera e senato erano ampiamente scontate.
La percentuale ottenuta dalla "Presidenta" (54%) è seconda solo a quella raggiunta da Juan Domingo Peron nelle elezioni del 1951 quando il generale
raggiunse oltre il 62% dei consensi.
E' un errore però ravvisare nella politica di Cristina Kirchner una sorta di continuità rispetto all'originaria dottrina "justicialista".
Sotto la sigla del peronismo si sono succedute presidenze e politiche economiche profondamente diverse se non opposte: se Peron alla fine degli anni quaranta nazionalizzò le ferrovie, allora appartenenti a compagnie private britanniche (che coi loro costi di fatto azzeravano i ricavi degli imprenditori locali), il peronista Menem (sfiorò il 50% dei consensi in occasione della sua rielezione del 1994) colla sua politica liberista fatta di privatizzazioni e "dollarizzazione" dell'economia argentina (responsabile del default del 2001) è, a sua volta, lontano anni-luce dalle scelte popolari/populiste e spesso demagogiche della vedova Kirchner.
Alla quale va riconosciuto il merito di aver aiutato le classi medie e medio-basse a sopportare la perdita di valore del peso (che soffre di una svalutazione del 20% all'anno) attraverso una politica di abbassamento dei prezzi dei prodotti di prima necessità (gas, luce, acqua e trasporti costano agli argentini un sesto di quello che pagano i brasiliani o i cileni; ma ancora per quanto?). Però a questa encomiabile volontà di garantire con prezzi politici alcuni bisogni fondamentali, ciò che spiega il recentissimo plebiscito tributatole, non corrisponde una lungimiranza in altre fondamentali scelte economiche.
L'Argentina è per sua natura destinata ad essere un paese esportatore; con quaranta milioni d'abitanti, una superficie grande undici volte l'Italia e una ricchezza di prodotti, di qualunque genere, dai metalli all'allevamento ai frutti della terra, chi potrebbe pensare ad una economia chiusa al mercato internazionale? Juan Domingo Peron sostenne l'iniziativa privata e l'agricoltura incoraggiando il consumo; il governo attuale, accecato dai pregiudizi ideologici di alcuni ministri, vede nell'imprenditore (soprattutto quello agricolo) un nemico e pone incomprensibili e assurde limitazioni al commercio estero, in entrata e in uscita.
L'ubriacatura demo-progressista dell'attuale società argentina ha provocato un'altra vittima: la Giustizia. Tralasciando le voci, insistenti e soffocate, sull'arricchimento personale della famiglia presidenziale, il cui patrimonio risulta centuplicato da quando Nestor Kirchner fu eletto presidente nel 2003, e pure trascurando il sistema clientelare dell'attuale gruppo dirigente, va sottolineato che oggi marciscono nelle galere argentine un migliaio di militari, accusati di crimini legati alla lotta contro il terrorismo nel periodo 1976-1983, quando il regime militare assunse il potere.
Il primo governo Kirchner fece infatti abrogare la legge di amnistia che Menem prima e Duhalde poi concessero, gradualmente, sia ai militari sia ai terroristi; il perdono per tutti doveva favorire la riconciliazione nazionale ma l'annullamento della legge, disposto SOLAMENTE per i delitti dei militari, ha fatto riprecipitare l'Argentina in un clima gonfio di spirito di vendetta.
Un migliaio di persone - fra cui moltissime in età avanzata - aspettano da sette anni la conclusione dei loro processi, e dunque sono innocenti fino prova contraria; nel frattempo 140 di loro sono morte di vecchiaia o di malattia dietro le sbarre. Mentre per i terroristi che dal 1970 fino all'inizio degli anni ottanta si macchiarono di omicidi di poliziotti, di ufficiali dell'esercito, di soldati, di dirigenti politici e sindacali (quasi tutti peronisti !), di cittadini inermi, di mogli e figli di ufficiali, di sequestri ed estorsioni, d'attentati dinamitardi, per loro nessun processo, nessuna condanna, anzi la riabilitazione politica.
E non solo quella; indennizzi di 200.000 dollari per ciascuna persona riconosciuta "vittima del governo militare", con criteri di giudizio simili a quelli usati nel dopoguerra italiano per i riconoscimenti della "qualità" di partigiano; nessun indennizzo invece è stato mai destinato alle vittime degli attentati e della violenza terroristica. Desaparecidos pure loro.
L'umiliazione delle Forze Armate e la rivalutazione di vecchi rottami del terrorismo ideologico (e non solo ideologico) degli anni settanta/ottanta, oggi ben saldi in posizioni di potere, si accompagnano ad evidenti derive di stampo progressista: la legalizzazione del matrimonio omosessuale e l'imminente legalizzazione dell'aborto ne costituiscono segni inequivocabili.
Resta però un dato incontestabile: il "justicialismo" è l'anima dell'Argentina; l'eredità del peronismo, in verità più romantica e nostalgica che strettamente dottrinale, rimane la memoria storica della nazione ed il voto a Cristina Kirchner più che un riconoscimento delle sue capacità, rappresenta il pegno della nazione a quell'ideale che pulsa nel sangue della stragrande maggioranza degli argentini; ed è in questo stesso solco, paradossalmente, che dovranno operare le forze nazionali (sottorappresentate elettoralmente dal modesto risultato del candidato - anch'egli peronista ma "dissidente" - Duhalde) per opporsi con successo alle derive progressiste e vendicative del "Kirchnerismo".

giovedì 6 ottobre 2011

MULTIPOLARITA' 1 — NATO 0

di Xavier Moreau
articolo apparso su www.realpolitik.tv
traduzione e diffusione autorizzate

Lo scacco della risoluzione occidentale contro la Siria rappresenta un nuovo duro colpo all’imperium americano.
Contrariamente a quanto accaduto con la Serbia nel 1999 e coll’Irak nel 2003, l'amministrazione americana non può persistere nella violazione dei limiti del diritto internazionale. L'impotente collera di Susan Rice (ambasciatrice degli Usa all'Onu) testimonia l'arretramento della posizione dell’ex-potenza mondiale sulla scena internazionale. Il ritornello moralizzatore, utilizzato dalla diplomazia americana in questi ultimi vent'anni, non commuove ormai che la stampa occidentale. Gli Stati Uniti di Barack Obama non sono più quelli di Bill Clinton, dove la pianificazione e l'esecuzione d’una epurazione etnica, come quella dei serbi di Krajina, potevano avvenire senza provocare la minima seria opposizione internazionale.
Gli Stati Uniti raccolgono oggi i frutti di vent'anni d’una politica estera cinica e controproducente. L'atteggiamento servile della stampa occidentale ha perduto la sua ragion d'essere visto che i popoli europei non le prestano più fiducia. Certamente, i regimi islamisti e islamo-mafiosi piazzati in Bosnia e in Kosovo, il sostegno ai terroristi nel Caucaso e ormai ai Fratelli Musulmani nei paesi arabi, non hanno scosso l'opinione pubblica dei paesi occidentali. Al contrario, per Cina e Russia, l’ « Islamerica» è una minaccia perfettamente tenuta in conto, non soltanto in politica estera ma ugualmente in politica interna.
La Russia, grazie a queste crisi arabe, ha fatto passare un messaggio chiaro. Che sosterrà sempre i suoi leali alleati. La Siria può oggi felicitarsi di non aver tenuto comportamenti ambigui nei confronti del suo potente alleato. Nel 2010, l’Iran aveva fatto le spese del suo avvicinamento con la Turchia e la Russia aveva lasciato allora agire il Consiglio di Sicurezza dell'ONU contro Téhéran. Per quanto riguarda Gheddafi, i suoi tentennamenti con l’Occidente ne avevano fatto un partner di dubbio affidamento agli occhi di Mosca. Proprio il Rais ha firmato la propria condanna, il giorno in cui ha voluto diventare alleato degli occidentali, come tutti quei « visionari » che furono lo Scià di Persia, il generale Noriega, Slobodan Milosevic, Saddam Hussein, Laurent Gbagbo…
I futuri potentati che saranno piazzati nei paesi conquistati dalla NATO faranno meglio ad avvicinarsi alla Russia, poichè come Moubarak o Ben Ali, sono tutti surrogabili, giudicabili e condannabili.