sabato 30 gennaio 2010

IL VELENO QUALCHE VOLTA FA BENE

Lo confesso: ogni tanto ho bisogno di respirare aria avvelenata; é un sicuro antidoto contro l'ipocrisia, le falsitá, il conformismo; risveglia e serve a mantenere un sufficiente tasso di attenzione e di sana consapevolezza della melma che ci circonda; in una parola, fa sentire vivi.
Non solo avvelenata ma mefitica é l'aria che si respira leggendo l'articolo apparso oggi sul Corriere della Sera (pag.8) intitolato "Bazoli: non bastano nuove regole. Il capitalismo va riformato".
E' il resoconto d'un dibattito su "Societá, economia e politica nella Caritas in veritate" - la recente enciclica di Benedetto XVI sul capitalismo - al quale hanno partecipato, tra gli altri, Giovanni Bazoli, presidente di Intesa Sanpaolo e il leader del Pd Pier Luigi Bersani.
Ció a cui si assiste é un banale quanto nauseante duetto infarcito di farisaismo, di luoghi comuni e di svergognata ipocrisia; due ballerine sfiancate, dal trucco pesante che si esibiscono in una danza grottesca, cercando di eseguire improbabili piroette, muovendo i loro culi flaccidi e le loro figure rese grevi dall'esercizio del potere, nella convinzione d'esser due silfidi interpreti innovatrici del nuovo balletto chiamato capitalismo riformato. E con un testimone estasiato, l'articolista, che applaude cotanta coreografia.
Sentite che roba: il Bazoli viene presentato nell'incipit dell'articolo come "banchiere umanista ". Ohibó ! Buono a sapersi. Andremo tutti ad aprire un conto ad Intesa Sanpaolo certi d'incontrare una nobile figura intunicata e cinta d'alloro decantarci versi del Poeta mentre ci rifila qualche Bot; si, é pur vero che questo titolo emesso dallo Stato non garantisce neppure piú il capitale investito, ma volete mettere il godimento dello spirito di fronte a qualche centinaia di euro di vile e volgare denaro andato in fumo ?
"Bazoli parla da operatore con esperienza trentennale - e aggiunge - qualche volta mio malgrado". Certamente il nostro ha avuto tantissime crisi di coscienza, da bravo cattolico progressista qual é, dovute al suo ingrato lavoro di banchiere, ma le ha tutte superate colla preghiera ed il sincero pentimento nel monastero di Camaldoli, luogo di convegno dei post-dossettiani, che lui stesso frequenta.
Ed in questa sua critica alle banche che "nel costante impegno ad assicurare una crescita continua del profitto nel piú breve tempo possibile, sono uscite dal mestiere tradizionale", il "banchiere umanista" fa certo riferimento alla sua pregressa carriera, a cui ovviamente é stato costretto - certamente "suo malgrado": amministratore della Banca San Paolo di Brescia nel 1982, poi presidente del Nuovo Banco Ambrosiano, che continua l'attività bancaria del defunto Banco Ambrosiano. poi, dopo la fusione colla Banca Cattolica del Veneto, presidente del Banco Ambrosiano Veneto in cui successivamente entra come azionista il gruppo francese Crédit Agricole, fino ad arrivare, con successive fusioni all'attuale gruppo Intesa Sanpaolo.
Peccato peró che non ci risulti affatto che questi istituti abbiano operato nel solco del "mestiere tradizionale" ossia, immaginiamo, un corretto esercizio del credito ed una gestione oculata del risparmio.
Ci risulta proprio il contrario.
Banca Intesa, nell'ultimo decennio é stata ripetutamente condannata dai tribunali civili per le fraudolente collocazioni di titoli Parmalat e Cirio e di bond argentini a inconsapevoli risparmiatori, tutte operazioni contrabbandate come sicure e da cui sono conseguite per l'istituto pesanti sanzioni da parte della Consob.
Dov'era il "banchiere umanista" quando la sua banca-pusher spacciava carta straccia "uscendo dal mestiere tradizionale"? Ad intrecciar carole e comporre ditirambi in quel di Camaldoli?
Ma naturalmente il nostro "ha sofferto l'ideologia liberale che attenuava la funzione sociale dell'impresa e considerava come una deviazione il credito come funzione sociale ".
E' vero. Il "banchiere umanista" ha sofferto e ancora soffre perch'egli é un convinto fautore della "funzione sociale dell'impresa" e l'ha ampiamente dimostrato quando diresse (sempre "suo malgrado", naturalmente) la cessione del gruppo Rizzoli-Corriere della Sera, della cui transazione egli fu beneficiario in quanto presidente (allora come ora) della Mittel, una societá finanziaria che partecipó all'acquisto del gruppo avvenuto col pagamento d'una cifra irrisoria, dieci miliardi di lire a fronte d'un valore trenta volte superiore.
E che ora si trova pesantemente accusato dall'ex proprietario del gruppo editoriale, Angelo Rizzoli, d'averne provocato il fallimento allo scopo d'impossessarsene e di farlo impossessare ad altri a prezzo stracciato.
Sulla stessa lunghezza d'onda del banchiere umanista si trova il "politico riformista", al secolo Pier Luigi Bersani.
Anch'egli, ça va sans dire, si trova in sintonia col primo nel "ripensare il capitalismo" per riconsegnare "dignitá alla politica", prima superata da "mercato e profitto che sembrava potessero guidare da soli il mondo".
Uomo di sinistra, di tradizione comunista, egli é naturalmente dalla parte del popolo.
O no?
Egli ricopre la carica di Ministro dell'Industria, del Commercio, dell'Artigianato quando il governo D'Alema emette il decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 342 (poi colpito da incostituzionalitá) che prevede la sanatoria della precedente prassi bancaria che imponeva ai risparmiatori anatocismo (interessi su interessi) e applicazione abusiva d'interessi passivi extralegali, prassi che i tribunali italiani avevano cominciato, in un sussulto di vera giustizia, a dichiarare illegale e a condannare.
Il decreto, non a caso chiamato "salvabanche", mirava a rendere non piú perseguibili legalmente le vergognese esazioni compiute sistematicamente fino a quel momento dalle banche contro i cittadini .
Operazione che certamente faceva torto "alla caritá, alla giustizia, ma anche alla razionalitá" tutte belle doti oggi invocate dal nostro, insieme alla necessitá d'una "governance mondiale", come punto di partenza per il "ripensamento del capitalismo".
Presente al convegno anche monsignor Giampaolo Crepaldi, vescovo di Trieste che, siamo pronti a scommetterlo, avrá benedetto con solenni e ieratici cenni del capo le parole piene d'amore e di caritá dei due relatori.
Fossimo stati in lui avremmo ricordato alle due svergognate ballerine (una delle quali, il Bazoli é anche studiosa della Bibbia) la nostra tradizione sociale e religiosa che, fin da Roma antica, condannava le pratiche usurarie.
A partire dalla Lex Cornelia Pompeia unciaria dell'88 a.C., passando per le dure condanne contro l'usura formulate dai Padri della Chiesa (in particolare San Basilio Magno il quale, rivolgendosi all'usuraio, nell'Omelia del Salmo XIV - Patrologia Graeca, 29, 264c-280c - dice "il povero era venuto a cercare un aiuto e ha trovato un nemico. Cercava una medicina e ha trovato un veleno. saresti dovuto venire in soccorso alla sua povertá, invece ti arricchisci sulla sua miseria....L'usura é l'inizio della menzogna...dicono che le lepri insieme generino e nutrono la prole e ancora concepiscono. Così pure il denaro é contemporaneamente preso a prestito ed é generato e cresce ancora. Infatti non l'hai ancora preso in mano che giá ti si richiede l'interesse del mese in corso. E questo denaro preso in prestito giá genera un altro male e un altro ancora, e così fino all'infinito") e dai Concili Ecumenici Niceno I, Lateranense II, Lateranense III, Lateranense IV, Lione I, Lione II, Vienne, dall'opinione di San Tommaso d'Aquino (che ritenendo, al pari d'Aristotele, il danaro puro e semplice strumento di scambio, condannava l'usura in quanto contraria alla giustizia e alla legge naturale) fino all'enciclica di papa Benedetto XIV (il bolognese Cardinal Lambertini) "Vix Pervenit" ("...coloro che vogliono mantenersi immuni e liberi da ogni sospetto d'usura e vogliono dare il loro denaro da altri in modo da ricavarne solo un guadagno legittimo, devono essere esortati a dichiarare prima il contratto che sta per essere concluso, a spiegare le condizioni e l'interesse che chiedono da quel denaro... perché appaia chiaramente se il denaro, che sembra dato ad altri in modo lecito, contenga in realtá un'usura simulata " ).
E ricordiamoci, infine, papa Pio XI. Enciclica "Quadragesimo anno" del 1931:
par.105 " E in primo luogo ciò che ferisce gli occhi è che ai nostri tempi non vi è solo concentrazione della ricchezza, ma l’accumularsi altresì di una potenza enorme, di una dispotica padronanza dell’economia in mano di pochi, e questi sovente neppure proprietari, ma solo depositari e amministratori del capitale, di cui essi però dispongono a loro grado e piacimento. Par.106. Questo potere diviene più che mai dispotico in quelli che, tenendo in pugno il danaro, la fanno da padroni; onde sono in qualche modo i distributori del sangue stesso, di cui vive l’organismo economico, e hanno in mano, per così dire, l’anima dell’economia, sicché nessuno, contro la loro volontà, potrebbe nemmeno respirare ".
E per oggi basta.

mercoledì 27 gennaio 2010

IL DIVIETO DEL BURQA: IL PREZZO DA PAGARE PER LA NORMALIZZAZIONE DELL'ISLAM

S'infiamma in Francia il dibattito sul divieto del burqa; dopo le ultime parole del presidente Sarkozy che lo ha dichiarato "non benvenuto" la commissione istituita dal Parlamento per studiare e valutare il fenomeno e le sue implicazioni giuridico-costituzionali ha consegnato oggi il suo atteso rapporto, che contiene la raccomandazione di vietare il burqa negli ospedali, nei mezzi di trasporto e negli uffici statali. «La dignità della persona e l’uguaglianza assoluta tra l’uomo e la donna» sono valori essenziali della Francia mentre il velo integrale, è scritto nel rapporto, «offende i valori della Repubblica», è una pratica «inaccettabile» che minaccia «la dignità della donna».
L'Italia non vuole essere da meno dei cugini d'oltralpe ed allora ecco il ministro Carfagna lanciarsi nella proposta di riunire una commissione di donne immigrate (!) che si confronti sui tempi e sulle modalitá del divieto.
Sulla stessa linea i leghisti (quelli che hanno recentemente votato si al trattato di Lisbona - ne parleremo - che votarono si nel 2002 alla regolarizzazione di circa 800.000 clandestini e che votano regolarmente si alla politica dei flussi d'immigrati in una Italia ormai preda della recessione e della disoccupazione).
Ma torniamo in Francia.
Leggendo "le Monde" di oggi si scoprono interessanti notizie, ossia che la Commissione, oltre a raccomandare il divieto del burqa ha giudicato necessario combattere ogni forma di discriminazione e particolarmente quelle fondate sulla religione e ha invocato uno sforzo per favorire l'insegnamento della lingua araba nelle scuole e, traendo spunto dalle parole dello stesso Sarkozy, ha - sia pur col dissenso d'una parte dei rappresentanti della commissione - raccomandato la necessitá di mettere la religione islamica su un pìano di paritá colle altre religioni, rilanciando l'idea di dar luogo al riconoscimento statale di feste religiose come l'Aïd el Kebir.
Queste proposte non sono altro che la risposta, sia pur non da tutti condivisa, alle domande presentate dalla piú importante comunitá islamica, la CFCM (Consiglio Francese del Culto Musulmano) il quale, per bocca del suo presidente, Mohammed Moussaoui aveva dichiarato: "Se si vogliono combattere le pratiche radicali occorre come contropartita una lotta contro l'islamofobia"
Certamente la Francia non é l'Italia ed i valori "repubblicani" e di "laicité" costituiscono un criterio, ancora (ma per quanto?) lontano dalle nostre visioni.
Ma non v'è dubbio che la questione Burqa nasconde, per tutta Europa, una posta in gioco ben piú alta: l'imposizione/accettazione d'un islam moderato, democratico che possa dare l'idea d'essere normalizzato e digerito dalla societá occidentale.
Se il divieto del burqa puó suggerire agl'ingenui l'idea d'una sorta di diga anti-islamica (certamente portatrice di consensi in questa fase pre-elettorale) al tempo stesso una simile disposizione cadrebbe a fagiolo per coloro che, non da oggi, raccomandano l'avvento d'una societá multiculturale e multireligiosa.
Il prezzo da pagare sarebbe il divieto d'una pratica ultra-minoritaria in cambio di concessioni ben piú importanti.
Quanto accade in Francia lo prova.
Il tutto in linea con un'Europa che, attraverso le proprie istituzioni, raccomanda l'insegnamento nelle scuole della pretesa (ma inesistente) influenza islamica nella costruzione della civiltá europea.
Che predica l'uguaglianza dei diritti individuali tra europei ed extracomunitari ma reprime e confina nei ghetti dell'illegalitá ogni sana difesa dell'identitá etnica e religiosa, il tutto colla benedizione d'una autoritá vaticana che ha rimunciato al senso della propria funzione spirituale e che, per bocca dei suoi vescovi, biasima le scelte identitarie del popolo svizzero, non ancora finito, buon per lui, nel giogo della euroburocrazia.
In questa dittatura liberal-progressista che é l'Unione Europea, il bando del burqa, lungi dal costituire una forma di reazione identitaria, é in realtá un ulteriore semaforo verde all' Islam; che, piaccia o non piaccia ai filoislamici nostrani, é in Europa il cavallo di Troia di chi vuole la morte della nostra civiltá.
Ed allora, miei pochi e pazienti lettori, datemi retta, freghiamocene del Burqa, anzi mettiamolo al ministro Carfagna così la smette di dire idiozie.

lunedì 25 gennaio 2010

L'immigrazione-risorsa

Sul Corriere della Sera di oggi 25 gennaio, in un servizio dedicato all'invadente presenza cinese a Prato e nel mercato del tessile si legge una notizia a dir poco incredibile: ogni giorno 500.000 (cinquecentomila) euro partono da Prato per l'estremo oriente; si tratta delle rimesse che la comunitá cinese (30.000 persone) che vive nella cittá toscana invia a casa propria.
Altri numeri si aggiungono.
Un rapporto dell' International Fund for Agricoltural Development, pubblicato il 22 ottobre scorso in occasione d'un forum organizzato a Tunisi sul trasferimento di fondi, rivela che ogni anno gl'immigrati africani inviano dall'Europa a casa loro circa 26 miliardi di euro.
Detta cifra é in realtá, secondo gli analisti, errata per difetto poiché il ricorso ai mezzi di trasferimento, censibili, piú utilizzati (Moneygram e Western Union) comporta spese tali (commissioni del 10% circa) da limitarne l'utiilizzo. Cosicché sfuggirebbe alla statistica una fetta non indifferente delle rimesse che entrerebbero nel continente africano con mezzi più tradizionali ma non suscettibili di rilevamento.
Ben presto però il telefono cellulare diverrá uno dei mezzi piú sicuri e più economici per effettuare trasferimenti monetari, ció che si tradurrá a breve in un raddoppio delle cifre sopra riportate.
L'importo si riferisce soltanto all'immigrazione africana; non tiene in considerazione le rimesse degl'immigrati asiatici ed est-europei.
Ma torniamo ai cinesi di casa nostra: questi comprano la materia prima direttamente nel loro paese (ove il prezzo é pari alla metá di quello che spenderebbero in Italia) e la fanno lavorare dalle loro filiere produttive a costi infimi.
E' in questo modo che la tradizionale produzione tessile a Prato é arrivata al collasso.
In compenso il pronto soccorso della cittá toscana é intasato da cinesi che non hanno medico di famiglia e lì si rivolgono per qualsiasi disturbo.
Come accade un pó dappertutto.
Morale: il contribuente italiano paga i costi sociali dell'immigrazione (non ho cifre esatte; la Francia ne paga 80 miliardi all'anno con una popolazione immigrata pari al doppio di quella italiana; fate un pó voi i conti) e vede i propri territori perdere fette consistenti di liquiditá, drenare le proprie ricchezze verso paesi ed economie straniere.
Benedetto XVI afferma: "Un immigrato é una persona da rispettare"; giusto; ma gli italiani invece no?

sabato 23 gennaio 2010

Lo strepitoso intervento del ministro Alfano

Intervistato nel corso del TG1 di oggi in merito alle accuse rivolte dalla magistratura contro Berlusconi, suo figlio Piersilvio e Confalonieri, nell'inchiesta c.d. Mediatrade (che riguarda presunte irregolaritá fiscali nella compravendita di diritti televisivi) il ministro di Grazia e Giustizia Alfano ha così commentato: "Non conosco l'indagine - e fin qui nulla da dire - ma conosco il premier e posso dire che non gli ho mai sentito fare una telefonata che riguardasse i suoi antichi (sic) interessi personali".
Dobbiamo quindi presumere, in via alternativa, che:
1 - il ministro Alfano vive continuamente con Berlusconi, di giorno, di notte e lo segue anche quando va a fare i bisognini;
2 - il ministro Alfano, che vuole (e non ha tutti i torti) limitare l'ammissibilitá delle intercettazioni telefoniche ha peró fatto mettere sotto controllo i telefoni di Berlusconi;
3 - il ministro Alfano é, in realtá, un sacerdote ed é il confessore di Berlusconi;
4 - il ministro Alfano é un coglione.
Secondo me la prima, la seconda e la terza soluzione sono sbagliate.

giovedì 21 gennaio 2010

VERSO LA VACCINAZIONE DI MASSA: SOLO BUSINESS O C'E`DELL'ALTRO ?

Manovre segrete

È notizia recente che il governo italiano ha stipulato nello scorso mese d'agosto colla multinazionale farmaceutica Novartis un contratto d'acquisto di 24 milioni di dosi di vaccino contro l'influenza A-H1N1 (la c.d. influenza porcina) al prezzo di 184 milioni di euro.
Tralasciamo le incongruenze giuridico-legali evidenziate dalla Corte dei Conti, che ha eccepito non solo la segretezza dell'accordo, ma l'eccessivo favore delle condizioni contrattuali di cui gode la multinazionale svizzera, e proiettiamo la questione su piú larga scala.
Partendo dalla Francia dove si é scoperto, grazie al Journal de Dimanche del 31 maggio scorso, che il governo Sarkozy aveva ordinato a tre multinazionali farmaceutiche (Sanofi, Novartis - ancora lei - e GloxSmithKline) 100 milioni di dosi di vaccino contro l'influenza porcina al prezzo di un miliardo di euro; notizia fino a quel momento occultata dai media.
L'intenzione del governo transalpino era quello di utilizzare il vaccino per tutta la popolazione francese in vista dell'annunciato ritorno del virus in autunno, addirittura rendendo obbligatorio il trattamento.
Come non collegare queste manovre col segnale d'allerta inviato dall'Organizzazione Mondiale della Sanitá che, per la prima volta dopo 41 anni, ha indicato un livello d'allarme 6, corrispondente al pericolo di pandemia mondiale, cioé tale da interessare tutto il pianeta col conseguente invito ai paesi del "nord del mondo" a preoccuparsi della salute dei paesi del "sud del mondo" ?
I sostenitori di queste misure profilattiche ricordano come in occasione dell'influenza c.d. spagnola del 1918 le autoritá erano state colte di sorpresa, ció che aveva favorito il diffondersi dell'epidemia; ragione sufficiente per una vaccinazione di massa capace di prevenire o almeno minimizzare il pericolo.

Da un occultamento all'altro.

L'omertá non riguarda solo l'azione dei governi ma colpisce anche - et pour cause - le premesse del ragionamento.
Dell'influenza spagnola del 1918 ha parlato recentemente la rivista medica britannica New Scientist che ha pubblicato gli studi condotti dal Centro di Sorveglianza delle Forze Armate degli Stati Uniti. E' sorprendentemente emerso che la maggioranza delle persone decedute in conseguenza della "spagnola" (mai conteggiate con esattezza ma nell'ordine di varie decine di milioni) non sarebbero state vittime d'un virus ma d'un batterio e sarebbero morte di polmonite.
Conclusioni confermate da altri centri di ricerca; in particolare appare opportuno citare il St.Jude Children Research Hospital di Menphis i cui specialisti sono giunti alla conclusione che l'influenza distrugge le cellule del sistema respiratorio fornendo nutrimento e rifugio alla polmonite batterica, processo accelerato dalla fragilitá del sistema immunitario.
La marina Militare statunitense, che contó oltre 120.00 persone colpite e oltre quattromila vittime dell'epidemia ha recentemente confermato questa diagnosi, rivelando che dagli archivi dell'epoca risultava che i militari colpiti dell'influenza spagnola contrassero la polmonite e morirono di complicazioni polmonari.
Pure l'americana N.A.I.D. (Istituto Nazionale delle Allergie e delle Malattie Infettive) conferma che l'epidemia del 1918 non fu un'influenza virale ma una polmonite provocata da una massiccia infezione batterica.
Un'altra ipotesi avanzata dagli scienzati é quella d'una infezione apparentemente influenzale dietro la quale si nasconde la tubercolosi, malattia d'origine batterica che uccide ogni anno nel mondo circa due milioni di persone.
A sostegno di tale ipotesi sta la circostanza, pacificamente assodata, che la c.d. "influenza spagnola" originó dal Kansas e precisamente dagli allevamenti suini, in mezzo ad una popolazione povera, dal sistema respiratorio reso fragile dall'assorbimento massiccio di polveri e per questo assai sensibile ai batteri della tubercolosi polmonare, propri delle regioni rurali in cui le tubercolosi aviarie, bovine e porcine erano frequenti.

A che serve il vaccino anti-influenza H1N1 ? A nulla. Ed allora...

Quel che é interessante notare é che né l'Organizzazione Mondiale della Sanitá né altri organismi internazionali sono riusciti a isolare, fotografare o classificare chimicamente il virus dell'influenza H1N1 che, come é arcinoto, ha fatto pochissime vittime e tutte tra persone giá colla salute compromessa.
Mentre la normale influenza fa 36.000 morti all'anno negli Stati Uniti e oltre due milioni ogni anno in tutto il mondo senza che nessuno abbia mai speso pari energie nel denunciarne la gravitá.
Il giornalista freelance tedesco-americano William Engdahl rileva singolari coincidenze tra la recente mobilitazione mediatica e quelle scatenate intorno alle pretese - e rivelatesi inesistenti - epidemie animali; a cominciare da quella della "mucca pazza" che avrebbe dovuto provocare decine di migliaia di morti e che si rivelò provocata da una vaccinazione tossica che mirava alla rimozione d'un insetto che colpiva il cuoio degli animali; l'influenza aviaria, provocata dall'ammassamento insalubre di centinaia di milioni di volatili e da un'alimentazione aberrante; l'influenza porcina che fa parte della routine dell'allevamento industriale; la febbre catarrale bovina ed ovina, banale epidemia che ha scatenato attraverso l'Europa un gigantesco piano di vaccinazione che ha provocato effetti disastrosi tra gli animali: morte, aborti, sterilitá, caduta della produzione lattiera.

... manovre di controllo globale.

Ció posto, é interessante notare che in tutti i paesi le Forze Armate hanno la custodia degli stock di vaccini e d'antivirali del genere Tamiflu, ossia quelli che si dovrebbero utilizzare contro la N1H1, che hanno peraltro dimostrato o una generale inutilitá o, in non pochi casi, una vera e propria nocivitá.
Ció che non puó non inquietare ove si pensi alla risoluzione, giá annunciata, di voler dotare gli Stati del potere di vaccinazione obbligatoria di massa; che non puó ch'essere preceduta - come infatti si è giá verificato - da una campagna di terrorismo mediatico volta ad instillare nell'opinione pubblica la paura d'un pericolo, in realtá inesistente, di terribili epidemie.
Tra la volontá speculativa della potentissima lobby farmaceutica in grado di dettare i tempi ai governi e questa annunciata forma di controllo sociale, prima tappa di un percorso che sboccherá in una dittatura burocratico-statalista (che ben si coniuga colla rinuncia dello Stato alle sue vere e sane prerogative), le libertá popolari vanno schiacciandosi sempre di piú.
Nello scenario, nient'affatto incredibile, d'una "governance" mondiale, guidata dagli Stati Uniti, la vaccinazione massificata potrebbe rappresentare addirittura una forma di controllo malthusiano della popolazione del nostro pianeta, per provocarne una sua drastica riduzione, come da piu parti si auspica.
Cosa di piú efficace allora dell'introdurre nelle pappette vaccinali, sapientemente e sistematicamente distribuite agli uomini-vitelli del XXI secolo, degli ingredienti suscettibili di ridurre le difese immunitarie giá rese fragili dalla nutrizione industrializzata, dalle medicine, dalle droghe, dai cibi e dalle bevande adulterate? O magari d'obbligare alla vaccinazione anti-virale per prevenire le malattie presentate come influenzali, ma in realtá d'origine batterica?
Ecco il bel quadretto: sistema-profitto e controllo politico passeggiano a braccetto sulle nostre teste, mentre la signora democrazia sta a guardare e sorride beota pensando che chi decide é lei .

Fonti: "Rivarol" n.2904, 2911, 2926; "Ecrits de Paris" n.723

mercoledì 20 gennaio 2010

Oggi, 20 gennaio, c'é un anniversario del tutto misconosciuto.
Il 20 gennaio 1793 re Luigi XVI, sovrano di Francia, condannato a morte dalla convenzione repubblicana, saliva sul patibolo.
Lo fece con grande dignitá.
Cercò, nei pochi istanti che separavano l'ultimo gradino al momento in cui avrebbe infilato la testa sotto il giogo mortale, di pronunciare la propria difesa ai molti parigini ch'erano venuti ad assistere alla sua esecuzione.
Parlò ma un rullare di tamburi, comandato ad arte dai capitani della guarnigione, impedì che le sue parole fossero udite dal popolo.
La democrazia, fin dai primi giorni della sua giovinezza bagnata di sangue e intrisa di vendetta, mostró ció che prometteva d'essere: codarda ed antidemocratica.