lunedì 31 gennaio 2011

SILVIO E IL CERVELLO DESTRO

Le ultime risultanze dell'inchiesta milanese su Berlusconi hanno riempito le pagine dei quotidiani e - non facciamo finta di non accorgercene ! - la curiositá di tanti italiani che, divisi tra guardoni, divertiti e indignati (qualche volte anche ipocritamente) sono stuzzicati nel conoscere i risvolti boccacceschi delle serate di Arcore.
Per condannarlo, invidiarlo od assolverlo.
Fatto sta che c'é solo lui sul palcoscenico, lui grande comunicatore, lui grande giocoliere impolitico della politica italiana; lui, solo lui, fortissimamente lui mentre gli altri protagonisti, ma in realtá comparse al suo cospetto, della politica politicata stanno dieci gradini sotto; e le critiche o le lusinghe che gli piovono da cotanta patente mediocritá arrivano sul palco smorzate irrilevanti innocue.
La piú totale mediocritá di tanti esce strabattuta dal confronto colla piú strabiliante furbesca stupiditá (o stupida furberia, vedete voi) di uno.
Intendiamoci, quelle formulate contro Berlusconi sono critiche obbiettivamente giuste, fondate, ragionevoli ma chissenefrega, è proprio per questo che non "bucano" il video, che convincono poco perché - e chi ha fatto della comunicazione lo strumento per eccellenza della lotta politica giá cent'anni fa l'aveva intuito - la conquista del potere nella societá di massa non si serve dell'analisi, del ragionamento, della logica bensì dell'emozione; il bersaglio da colpire é il lobo destro del cervello, quello da cui si diramano le emozioni, le intuizioni, i concetti generali, le immagini, le comparazioni, le analogie - e in cui si forma anche il pensiero religioso ed idealistico; quelli del ragionamento, dell'analisi, della sintesi sono strumenti di competenza del lato sinistro della nostra materia grigia.
Si afferma che il lobo sinistro dovrebbe servire a temperare, colla logica ed il ragionamento, appunto, ció che il lobo destro irrazionalmente ed emotivamente produce, in una sorta di reciproco contrappeso. L'uso esclusivo del cervello sinistro priverebbe l'essere umano di quel carico di emozioni e di vitalitá sì da rendere sterile e cinica la ragione; l'uso esclusivo del cervello destro riporterebbe l'uomo allo stadio primitivo, rendendolo schiavo delle proprie passioni, ostaggio dei propri
capricci infantili.
E non a caso il bambino, fino all'etá di tre anni, si rapporta al prossimo in maniera esclusivamente emotiva, irrazionale appunto perché usa solo la parte di cervello giá sviluppata, quella destra, istintiva ed animale.
L'educazione e l'istruzione contribuiscono poi allo sviluppo (o almeno dovrebbero se ben dosate) dell'aspetto umano e razionale della personalitá, ossia del cervello sinistro.
Rapportando la vita dell'uomo a quella dell'umanitá (educazione/civilizzazione), il ruolo educativo dei genitori e degl'insegnanti fu progressivamente svolto dalle civiltá greca, romana e cristiana che diedero forma e regole alle emozioni, alla sensibilitá e alle intuizioni, sociali e religiose, che l'uomo - a differenza degli animali - possiede per dono divino ma che, senza il supporto della ragione, portano dritti alla violenza, alla sopraffazione, all'egoismo, alla superstizione.
L'Europa, centro della civiltá, fu retta per mille anni da aristocrazie che cercarono, educandosi all'obbedienza da giovani e legittimandosi così al comando nell'etá matura, di governare imponendo regole, inibizioni e tabu per frenare la generale propensione dei governati a sfogare senza ritegno le proprie passioni; specialmente quelle che nascono in quella zona di tessuto dell'emisfero destro che si chiama "cervello rettiliano" che sovrintende, appunto, le emozioni elementari: il piacere, il dolore, la rabbia, l'aggressivitá, l'istinto di fuga.
L'avvento della democratizzazione e della massificazione delle societá, a partire dalla rivoluzione francese, ha sconvolto questo equilibrio.
Oggi le elite debbono fare i conti con una realtá massificata dove i governati pretendono d'essere guidati in nome delle loro regole, che pretendono d'essere blanditi coccolati viziati adulati che non accettano imposizioni, anche se necessarie e ragionevoli; che vogliono dire la loro pensando che l'equazione moltitudine=ragione costituisca la sola forma di legittimazione politica.
E i governanti, per mantenere il deretano in sella, adottano l'unico linguaggio che possa essere inteso dalla massa, soprattutto da questa massa sempre piú incolta, sempre piú stupida, sempre piú preda della propria volgaritá, delle proprie infime passioni, del proprio egoismo, della propria aviditá, mentre stanno sepolte sotto un cumulo di macerie l'armonia greca, la sobria logica romana e la pietas cristiana: quello del cervello destro, dove stanno i neuroni già bell'e che rodati alla comunicazione e all'immagine comparativa.
Ed allora come meravigliarsi se Silvietto nostro, maestro della comunicazione e dell'immagine stia in sella da quasi vent'anni e continui a godere del piú alto tasso di popolaritá?
Caso mai ci sarebbe da meravigliarsi che non vi rimanga per altri venti.

venerdì 28 gennaio 2011

TUNISIA, LA RIVOLUZIONE DEI PRIVILEGIATI?

Posto la traduzione d'un articolo pubblicato sul sito di geopolitica
www.realpolitik.tv e scritto da Bernard Lugan, rinomato africanista francese.

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In Francia, i politici ipocriti hanno applaudito la caduta d’una ditattura ch'essi frequentavano abitualmente fino a ieri, a cominciare da quelli che volevano nascondere che il RCD (Rassemblement constitutionnel démocratique),il partito del decaduto presidente era membro dell’Internazionale socialista .

Tutti hanno scordato che nel 1987, l'accesso al potere del generale Ben Ali era stato unanimemente salutato come un'avanzata democratica, che sotto la sua ferma direzione, la sovversione islamista era stata soffocata, che la Tunisia era divenuta un paese moderno la cui credibilitá permetteva un accesso al mercato finanziario internazionale. Attirando capitali e industrie, il paese era a tal punto progredito che l' 80% dei tunisini era divenuto proprietario del proprio alloggio. Questo polo di stabilitá e di tolleranza in un universo musulmano spesso caotico permetteva l'arrivo di milioni di turisti alla ricerca d' un esotismo temperato da una grande modernità. Migliaia di pazienti giungevano a farsi operare a costi inferiori e ad un medesimo livello di cure rispetto all' Europa. In questo paese che consacrava piú dell' 8% del suo PIL all'istruzione, la gioventù era scolarizzata al 100%, il tasso d'alfabetizzazione era superiore al 75%, le donne erano libere e non portavano il velo; quanto alla demografia, con un tasso di crescita dell' 1,02%, essa aveva raggiunto un livello europeo. 20% del PIL nazionale era investito nel sociale e piú del 90% della popolazione beneficiava d’una copertura medica. Tutti successi quasi unici nel mondo arabo-musulmano, tanto piú notevoli ove si pensi che, differenza dell’Algeria e della Libia, i suoi due vicini, la Tunisia non dispone che di deboli risorse naturali.

I tunisini erano dunque dei privilegiati ai quali non mancava che una libertá politica generalmente inesistente nel mondo arabo-musulmano. Essi si sono dunque offerti il lusso d’una rivoluzione non vedendo che si stavano sparando una pallottola nei piedi. La loro euforia rischia d'altronde d'essere di corta durata poiché il paese deve fare il bilancio di eventi che hanno provocato delle perdite che superavano già piú di 2 miliardi d’euro a metá gennaio e che rappresentavano allora il 4% del PIL. La Tunisia s'appresta ad uscire dalla prova duramente indebolita, ad immagine del settore turistico che riceveva annualmente piú di 7 milioni di visitatori e che è oggi totalmente sinistrato, i suoi 350 000 impiegati essendosi riuniti al 13,2% di disoccupati che il paese contava in dicembre 2010.

Per il momento, i tunisini hanno l’illusione d'essere liberi. I piú ingenui credono anche che la democrazia risolverá tutti i loro mali, che la corruzione sparirá, che la disoccuapazione giovanile sará riassorbita, mentre i dirfitti delle donne saranno salvaguardati… Quando constateranno che hanno segato il ramo sul quale erano in definitiva con relativo conforto seduti, il loro risveglio sará immancabilmente doloroso. Giá, nelle moschee, le prediche radicali hanno ricominciato e prendono di mira direttamente il Codice di statuto personale (CSP), questo statuto delle donne unico nel mondo musulmano. Imposto da Bourguiba nel 1956, poi rafforzato da Ben Ali nel 1993, rende le donne tunisine totalmente uguali agli uomini. Ormai minacciata, la laicitá va poco à poco, ma direttamente ad essere rimessa in causa dagli islamici e la Tunisia sará dunque, presto o tardi, posta davanti ad una scelta assai chiara : l'anarchia con lo sprofondamento economico e sociale o un nuovo potere forte.

Tutta l'Africa del Nord subisce attualmente l'onda dello choc tunisino. L'Egitto è particolarmente minacciato in ragione della sua spaventosa sovrappopolazione, dell'etá del suo presidente, della quasi sparizione delle classi medie e delle sue considerevoli ineguaglianze sociali. Dappertutto, la prima rivendicazione é il lavoro dei giovani e particolarmente dei giovani diplomati che sono i piú colpiti dalla disoccupazione. In Tunisia, alla vigilia della rivoluzione, due disoccupati su tre avevano meno di 30 anni e uscivano spesso dall'universitá. Il paradosso è che, da Rabat a Tunisi passando per Algeri, i diplomati sono troppo numerosi in rapporto ai bisogni. Una volta ancora, il mito del progresso all'europea ha provocato un disastro nelle societá che, non essendo preparate a riceverlo, lo subiscono.

In Algeria, dove la cleptocrazia dello Stato ha dilapidato le immense ricchezze provenienti dal petrolio e del gas, scoperte e messe in attivitá dai francesi, la gioventú non ne puó piú di dover sopportare una oligarchia di vegliardi che giustificano le posizioni acquisite e un totale immobilismo sociale in nome della lotta per l'indipendenza condotta piú di mezzo secolo fa. Anche se i problemi sociali sono enormi, il Marocco sembra meglio posizionato nella misura in cui la monarchia vi è garante della stabilitá, poiché un giovane re ha saputo responsabilizzare una nuova generazione e perché l’unione sacra sussiste attorno al recupero delle province sahariane. Ma innanzitutto perché il Marocco è un autentico Stato-nazione la cui storia é millenaria. Là è tutta la differenza con un' Algeria la cui gioventù non crede nell'avvenire poiché il paese non ha passato, la Francia avendogli dato le frontiere e persino il suo nome.

Bernard Lugan
Mercoledi 25 gennaio 2011
www.bernard-lugan.com

venerdì 14 gennaio 2011

RAGION DI STATO E STATO SENZA RAGIONE

Una volta si chiamava "ragion di Stato", quella che legittimava coloro che governavano, amministravano giustizia o erano incaricati di pubbliche faccende a coprire scandali e magagne magari adottando decisioni ingiuste in nome d'una più alta esigenza, quella di difendere gl'interessi dello Stato, compresa anche la reputazione di fronte ai suoi cittadini ed al cospetto delle altre nazioni.
Difficile sarebbe oggi ammettere che una simile necessità possa ancora invocarsi e ciò per l'ottima ed esaustiva ragione che lo Stato non esiste più ed il suo posto è occupato da una specie di entità informe che di reputazione non possiede neppure un milligrammo.
Chiamerebbesi Stato quella cosa costruita per dar regole alla comunità di persone che si trovano all'interno del suo territorio, perciò sottoposte alla sua tutela ed alla sua autorità, destinata a pretendere il rispetto delle leggi in cambio dell'erogazione di decenti servizi e della protezione dei più deboli; a ciò si dovrebbe aggiungere il non trascurabile dovere per chi è chiamato ad amministrare di farlo per il bene comune, senza clientele e con sano disinteresse e, last but non least, con capacità.
Ditemi voi se ciò che oggi sentiamo chiamarsi "istituzioni", "governo", "classe politica", assomiglia pur vagamente ad un lontanissimo parente di quella cosa che, in ragione delle funzioni che è chiamata ad assolvere, ho sommariamente descritto.
Un caso come quello di "Ruby", in tempi seri e con istituzioni politiche, giudiziarie e amministrative degne di questo nome, sarebbe stato subito soffocato - e non senza ragione - fin dal suo nascere.
L'avviso di garanzia inviato dalla Procura milanese a Berlusconi dimostra invece
che questo "Stato", pardon questa entità informe e gelatinosa, è arrivata al capolinea.
E con essa vi sono arrivati a braccetto, tutti insieme, gli scollati segmenti dello "Stato" - governo, parlamento e magistratura.
Il primo, dove si respira un clima da bunker - ma senza veri sovietici in grado di dargli l'assalto da fuori - circondato solo dal vuoto della propria inutilità è ormai preda delle follie senili di Berlusconi; il secondo, ridottosi ad un mercato di vacche ha l'opposizione più ridicola e penosa che sia mai comparsa in tutta la storia democratica d'occidente, tanto inetta da non riuscire neppure a sconfiggere una maggioranza allo stremo delle forze; la terza è da lungo tempo divenuta un luogo di scontri politici ed una corporazione impermeabile a qualsiasi sana riforma; precipitata in efficienza e competenza e composta da una classe di magistrati che - nè più nè meno di Berlusconi, sia chiaro - godono d'una impunità che non ha riscontri in nessun'altra giurisdizione del mondo civile.
Non illudiamoci quindi che scaricando Berlusconi e i suoi da questo capolinea si possa ripartire; bisogna rottamare l'autobus, i guidatori titolari e quelli di scorta, i meccanici e cambiare anche percorso e stazioni di rifornimento.
Non pensiate quindi che la magistratura abbia compiuto un gesto eroico; ha coperto e insabbiato ben di peggio e quel che fa obbedisce ad interessi politici esattamente come fece - e proprio la Procura milanese - vent'anni fa ai tempi di "mani pulite", per servire interessi d'oltreatlantico e d'oltremanica.
Per ora accontentiamoci quindi di assistere all'autofagia di queste istituzioni le cui oscenità nessuna "ragione di Stato" può più coprire.
Assistiamo a questo spettacolo con lo stesso spirito sportivo con cui, durante le cinque giornate di Milano, come narra un antico aneddoto, un vecchio nobile meneghino affacciato alla finestra si godeva le sparatorie; urlando entusiasta ogni volta che vedeva, indifferentemente, un insorto o un austriaco raggiunto da una fucilata: "Bel colpo!".

martedì 11 gennaio 2011

DELITTO E CASTIGO

E' notizia di qualche giorno che un ex deputato inglese, David Chaytor, è stato condannato da un tribunale di Sua Maestà a diciotto mesi di carcere, senza condizionale, per aver richiesto ed ottenuto dalle casse statali un rimborso per il pagamento dell'affitto d'un appartamento necessario alla sua attività parlamentare.
Era però risultato che l'affittuario dell'immobile altri non era che la figlia di Chaytor. Pentitosi del gesto, non si è ripresentato alle elezioni ed ha firmato un assegno pari alla cifra illecitamente percepita con l'aggiunta degli interessi(19.327 sterline a fronte d'una frode pari a 18.350 sterline).
Tutto ciò non gli ha però evitato il carcere le cui porte si sono aperte immediatamente dopo la sentenza di condanna di primo grado.
Ha scritto il giudice, a motivazione della sua pronuncia "Lo scandalo delle spese ha fatto traballare la fiducia nel legislatore e quando un pubblico ufficiale è colpevole di offese del genere è necessario che seguano sanzioni penali così che le persone si rendano conto di quanto sia importante essere onesti nel trattare i fondi pubblici".
Lo scandalo delle "spese gonfiate" risale al 2009 e fu rivelato dal Daily Telegraph; ciò provocò dimissioni di parlamentari e di membri del gabinetto governativo ma, alla fine, pare che sarà solo David Chaytor a pagare per tutti.
Ma cosa sarebbe accaduto in Italia?
Proviamo ad indovinare.
1) Almeno tre procure si sarebnbero scannate per aggiudicarsi la titolarità dell'inchiesta;
2) il parlamentare inquisito non si sarebbe dimesso;
3) il parlamento non avrebbe accolto l'eventuale richiesta d'autorizzazione all'arresto;
4) il parlamentare avrebbe incassato la solidarietà della sua parte politica convinta che si tratti d'una manovra volta a screditarla e, proprio per non accontentare le "speculazioni", il parlamentare si sarebbe ripresentato trionfalmente alle successive elezioni, dove si sarebbe visto riconfermare il mandato;
5) il processo sarebbe finito nove anni dopo, dopo i tre interminabili gradi di giudizio, o con una sentenza di non luogo a procedere per intervenuta prescrizione del reato o con una condanna sospesa condizionalmente; in soldoni, neppure un'ora di galera.
La riprova?
A Bologna, proprio un anno fa di questi tempi il neosindaco Flavio Delbono era accusato, prove documentali alla mano, d'aver addebitato all'ente Regione, di cui fino a pochi anni addietro era stato vicepresidente, le spese di viaggio e di soggiorno (pari a poco più di ventimila euro) della sua amante-segretaria che lo accompagnava nelle sue "missioni" istituzionali all'estero (dove il nostro, invece di partecipare ai lavori se ne andava in spiaggia colla sua bella).
Delbono non poteva godere dell'immunuità parlamentare e, dunque, anche per il risalto locale che la vicenda aveva assunto, dopo uno scandaloso tentativo d'insabbiamento da parte del procuratore della repubblica aggiunto (che in tempi passati non aveva risparmiato arresti preventivi a militanti del msi, sulla base di teoremi fantasiosi poi dimostratisi fasulli: il dott.Persico)partiva un'istruttoria serrata che portava poi all'incriminazione.
Delbono, accusato di peculato e truffa, dopo aver risarcito la Regione del danno patito, ha chiesto di poter patteggiare la pena e, in accordo col pubblico ministero che ha dato il proprio assenso, ha indicato in un anno, sette mesi e dieci giorni la condanna che accetta di vedersi infliggere.
Evidenti sono le analogie tra le due situazioni: distrazione di fondi pubblici per uguali importi, risarcimento del danno provocato e condanna ad una pena assai vicina nel suo ammontare (diciotto mesi l'uno, diciannove l'altro).
Ma c'è una sostanziale differenza: Chaytor è entrato immediatamente in carcere mentre Delbono non solo ha ottenuto la sospensione condizionale della pena ma, grazie al fatto che essa è inferiore ai tre anni, potrà riprendere ad insegnare all'Università di Bologna.
Non sono un forcaiolo e non mi fa piacere augurare pene e sanzioni a nessuno ma è mai possibile che chi si è reso responsabile di atti d'appropriazione di fondi pubblici possa continuare a svolgere un ruolo istituzionale - esecutivo, impiegatizio od intellettuale che sia ?
In Italia sì, è possibile.
Pensate che tutto questo nulla abbia a che fare colla crisi profonda che attraversiamo? Pensate che il degrado, economico, politico, sociale, di civismo e d'educazione sia indipendente da quel clima d'impunità che da anni si respira nel paese?
Impunità che, dobbiamo ammetterlo, è veramente trasversale perchè, casi eclatanti a parte, coinvolge tutti i livelli: dai reati più piccoli di volgare delinquenza comune a quelli più raffinati.
E che dimostra, semmai ve ne fosse ancora bisogno, che queste istituzioni rappresentano ancora un "potere", capace quando serve i loro interessi di esercitarsi fino al sopruso, ma hanno perduto ogni senso di "autorità".

mercoledì 5 gennaio 2011

MA ANCHE LE BARZELLETTE PRIMA O POI FINISCONO

Ciò che il vostro affezionatissimo aveva scritto pochi giorni orsono ha trovato oggi un piacevole conforto nella penna di G.Stella, opinionista del Corriere della Sera.
Scrive Stella "Lula avrebbe preso la stessa decisione, offensiva, se la consegna di Cesare Battisti gli fosse stata chiesta dalla Gran Bretagna, dalla Svezia, dalla Spagna o dalla Germania?...Il dubbio, fastidioso, é legittimo..." e ricorda che le ventisette ore brasiliane del cavaliere furono scandite, oltre che da immancabili incontri ufficiali, da alcuni eventi a dir poco singolari: la famosa barzelletta (con lui protagonista immaginario d'una performance sessuale con una cameriera) raccontata alla presenza d'alcuni imprenditori italiani di San Paolo, un'imboscata, organizzata da una trasmissione locale, colla presenza d'una top model in tanga e reggipetto leopardati e, finale col botto, un party con sei ballerine sei.
Il vostro devotissimo era rimasto fermo alla barzelletta ma l'incessante tempesta ormonale cui é vittima Silvietto nostro non s'era evidentemente limitata a sfoghi affabulatori ma aveva trovato ben più concreti compiacimenti.
Difficile dunque che la domanda retorica di Stella possa rimaner sospesa nel limbo dei dubbi irrisolvibili.
Non v'è un sol paese - oltre quelli citati a mo' d'esempio dal giornalista - dove siano concepibili leader e classi dirigenti così cialtrone, strategie politiche e diplomatiche così improvvisate, istituzioni tanto sfasciate come le nostre.
La politica dell'essere amicone di tutti, delle pacche sulle spalle di Putin, di Bush e di Gheddafi e di qualche manata sul sedere non ha fatto diventare Berlusconi (l'Italia) un serio e rispettato interlocutore, l'ha fatto (ci ha fatto) diventare lo zimbello, l'amico scemo, il buffone, l'arlecchino della scena internazionale.
Questa ennesima caporetto della nostra politica - e quella estera è la cartina di tornasole della salute d'una nazione - rispecchia il fallimento del nostro sistema.
E tocca affidarci all'Europa, chiamare in soccorso le istituzioni comunitarie, rivolgerci piagnucolando ai nostri fratellini più grandi per sperare d'ottenere quanto reclamato (e che non è dovuto tanto a questa scassata e imbelle "autorità" statale ma piuttosto ai parenti degli assassinati) perchè da soli non ce la facciamo.
Che tristezza e che vergogna. Non solo perchè un assassino coccolato dalla "gauche caviar" e dalla sinistra salottiera - con buona pace dei "rivoluzionari" d'ogni risma e colore che lo difendono - condannato non per aver ucciso in un conflitto a fuoco, mettendoci la faccia e rischiando la vita ma colpendo a tradimento, come un topo, secondo un ben collaudato stile partigiano - non pagherà dazio; ma anche, anzi soprattutto, perchè il "paese legale" ci fa persino vergognare d'essere italiani, figli del "paese reale".
E' questo che non potremo nè dovremo perdonare a lorsignori quando sarà il momento; che prima o poi arriverà.
Ed allora non ci sarà bisogno di molotov lanciate da studenti fuoricorso, annoiati e mantenuti dai soldi di mammà.
Basterà la rabbia della gente normale, la più potente delle miscele incendiarie.