martedì 23 ottobre 2012

I CINQUANT'ANNI DEL CONCILIO VATICANO II: MEZZO SECOLO DI CATACLISMI

I CINQUANT’ANNI DEL CONCILIO VATICANO SECONDO: MEZZO SECOLO DI CATACLISMI Traduzione dell’articolo apparso sul numero 3064 di Rivarol “Le cinquante ans de Vatican II: un demi siècle cataclysmique” di Jérôme Bourbon) Cinquant’anni sono trascorsi da quel giorno di ottobre del 1962 che vide la riunione nella basilica di San Pietro a Roma di 2381 vescovi venuti dal mondo intero (eccetto che dai paesi comunisti) all’appello di Giovanni XXIII per la cerimonia d’apertura del “Secondo Concilio ecumenico” che si sarebbe poi protratto fino all’8 dicembre 1965. Se si dovessero elencare i principali avvenimenti del XX° secolo, il Vaticano II figurerebbe in evidenza, tanto ha provocato nelle coscienze, nei costumi e nelle istituzioni dei capovolgimenti fondamentali di cui non abbiamo ancora valutato l’esatta misura. Questa assemblea di vescovi, che a differenza dei venti concili ecumenici da Nicea a Vaticano I, non ha definito né esplicitato dogmi, non ha proceduto attraverso canoni e anatemi, ha aperto la via ad una nuova religione che porta sempre ufficialmente il nome di cattolica ma la cui sostanza e le cui finalità non sono più per nulla le stesse. E’ un caso se i partigiani del Vaticano II hanno parlato, dall’inizio, come il cardinale Benelli di “chiesa conciliare” o come Paolo VI di “nuova Pentecoste”? Ugualmente, il cardinale Suenes notava che “il Vaticano II è il 1789 nella Chiesa”, mentre Padre Congar aggiungeva eloquentemente che attraverso il concilio “la Chiesa aveva compiuto pacificamente la sua rivoluzione d’Ottobre” Espressioni che dimostrano che il Vaticano II marca una rottura radicale con quasi 2000 anni di cattolicesimo e inaugura una nuova religione, quella dell’umanità. IL CULTO DELL’ UOMO Il concilio ha introdotto una nuova maniera di porsi in rapporto a Dio. Pretendendo che l’uomo è cambiato, i Padri Conciliari ne deducono che occorre anche modificare il rapporto dell’uomo verso Dio passando dal teocentrismo all’antropocentrismo. Inversione radicale dei fini : la religione non è più al servizio di Dio ma al servizio dell’umanità. ”L’uomo è la sola creatura di Dio creata per lei stessa” , “l’uomo è il centro e il culmine di tutte le cose” osa affermare la costituzione Gaudium et Spes. E Paolo VI, nel suo strabiliante discorso di chiusura del Concilio giungerà perfino a dire: “La religione di Dio che s’è fatto uomo s’è incontrata colla religione - poiché di ciò si tratta – dell’uomo che si è fatto Dio (…) Anche noi, noi più che chiunque, noi abbiamo il culto dell’uomo”. Se quest’ultimo è il fine e il culmine di tutto, occorre evidentemente ripensare tutta la teologia cattolica. La chiesa conciliare si definisce come un mezzo, una istituzione (tra molte altre), un segno al servizio dell’uomo. E’ la famosa teoria della Chiesa-Sacramento. Giovanni Paolo II potrà così dire che “la Chiesa ha rivelato l’uomo a sé stesso” o ancora che “l’uomo è il cammino della Chiesa “. Se questo è il caso, si comprende che la liturgia abbia allora per obbiettivo di celebrare l’umanità, soggetto del rito sacro e del sacerdote. Da qui gli altari girati verso l’assemblea dei fedeli di cui il prete non è che l’animatore, la nuova messa non essendo più gerarchica ma democratica. Da qui il rigetto del carattere propiziatorio del santo sacrificio della messa. La « messa di Lutero » (dixit Mons. Lefebvre) i cui studi dettagliati hanno provato le origini non soltanto protestanti ma talmudiche, si definisce come la « sinassi sacra dei fedeli », così come afferma l’articolo 7 del Novus ordo missae di Paolo VI. La celebrazione detta dell’eucarestia non è più il memoriale della croce ma quello della cena. E’ la dottrina della messa-banchetto. LA SERVETTA DEL MONDIALISMO Secondo questa nuova teologia non è più la chiesa cattolica ad essere il regno di Dio ma l’umanità tutta intera. La missione della chiesa conciliare sarà allora quella di preparare l’avvento di questo regno temporale verso il quale convergono tutte le religioni poiché il genere umano tende nei fatti ad una crescente unità i cui segni sono “la socializzazione di tutte le cose, la condivisione delle ricchezze, la rivendicazione dei diritti dell’uomo”. Il ruolo della nuova chiesa si riduce ad affrettare questo processo d’unificazione. E’ così che si giustificano il dialogo inter-religioso, l’ecumenismo liberale che sono al servizio d’una pace in divenire. Da qui i raduni sincretistici come Assisi o catodici come le giornate mondiali della gioventù, destinati secondo i disegni dell’ONU, a preparare l’avvento d’un mondialismo politico-religioso, vale a dire d’un governo mondiale e d’una religione ella stessa mondiale confinata nel ruolo di animatrice della democrazia universale. In questo schema, la realità sociale di Gesù Cristo appare evidentemente obsoleta. Così la chiesa conciliare si schiera con entusiasmo alla laicità dello Stato e, alla bisogna, l’impone con la forza come in Spagna – 1967 – e in Colombia – 1973 - che a espressa domanda di Paolo VI abbandonano le loro costituzioni cattoliche. Questa unità spirituale del genere umano si declina in differenti gradi di comunione, in multipli cerchi concentrici; le coscienze sono più o meno illuminate dalla fede ma nessuno potrebbe esserne escluso poiché “in un certo modo, il Cristo s’è unito a ogni uomo” (Gaudium et Spes). Non v’è allora più bisogno d’essere battezzati e di credere per salvarsi. La questione della salvezza e della dannazione ha perduto ogni urgenza e anche ogni senso. E in effetti la pastorale conciliare evita il peccato originale e la caduta della natura umana. La salvezza non è ormai che una presa di coscienza personale, essendoci l’uomo ad affermare la propria straordinaria dignità. E’ da dire che Vaticano II è in rottura totale non solamente con la Tradizione cattolica ma più generalmente colla religione cattolica poiché questo concilio trova la propria ragione nell’esaltare la persona umana ed assicurare l’unità del genere umano . LA GENESI DEL CONCILIO Qual è lo svolgimento degli avvenimenti che ha condotto a una tale rivoluzione copernicana? Di fatto tutto inizia diciannove giorni dopo la morte di Pio XII, con l’elezione a settantasette anni, all’undicesimo giorno di scrutinio, il 28 ottobre 1958, del patriarca di Venezia Angelo Giuseppe Roncalli. Questi, che in modo assai rivelatore prende il nome d’un antipapa coinvolto nel grande scisma d’occidente, Giovanni XXIII, intende rompere spettacolarmente con i grandi orientamenti definiti da Pio XII. Roncalli mette in opera una strategia che porterà a ciò ch’egli chiamerà « l’aggiornamento» ossia alla rivoluzione nella chiesa. Appena eletto, colui che sarà chiamato dai media «il papa buono» riceve significativamente i più vivi incoraggiamenti dai principali nemici della Chiesa cattolica.. Yves Marsaudon nel suo libro “L’oecuménisme vu par un franc-maçon de tradition” scrisse così : «Avemmo sùbito la grandissima gioia di ricevere nelle 48 ore un cenno di riscontro del ricevimento delle nostre rispettose felicitazioni. Per noi era una grande emozione, ma per molti dei nostri amici questo fu un segno”. Ugualmente Giovanni XXIII riceve le felicitazioni del gran rabbino d’Israele Isaac Herzog, dell’arcivescovo anglicano Geoffroy Fischer, di Paul Robinson, presidente delle Chiese Federate e infine del capo della Chiesa ortodossa russa, il patriarca Alexis. Dal 25 gennaio 1959, ossia meno di tre mesi dalla sua elezione, Roncalli annuncia pubblicamente dalla basilica di San Paolo fuori le mura la convocazione del “secondo concilio ecumenico del Vaticano”. Anche Pio XII aveva pensato di riunire una tale assemblea ma, davanti ai pericoli dell’impresa, s’era rapidamente ravvisato: “Sento attorno a me dei novatori – diceva – che vogliono smantellare la Cappella sacra, distruggere la fiamma universale della Chiesa, rifiutare i sui ornamenti, darle il rimorso del suo passato storico…Verrà un giorno in cui il mondo civilizzato rinnegherà il suo Dio, in cui la Chiesa dubiterà come Pietro ha dubitato. Essa sarà tentata di credere che l’uomo è divenuto Dio, che suo figlio non è che un simbolo, una filosofia come tante altre, e nelle chiese i cristiani cercheranno invano la lampada rossa dove Dio li aspetta, come la peccatrice che grida davanti alla tomba vuota: dove l’hanno messo?” (Mons. Roche : “Pie XII devant l’Histoire”). Pio XII e Giovanni XXIII erano entrambi al corrente di questa situazione prerivoluzionaria nella Chiesa, ma mentre il primo non voleva cedere alle sirene delle novità, il secondo al contrario fremeva nel voler tutto trasformare. Chiamare alla convocazione d’un concilio il 25 gennaio 1959 non era certo, a questo riguardo, un atto innocente, poiché questa data segnava la chiusura della settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Il concilio imminente non sarebbe stato dunque ecumenico (ossia universale, come lo furono i venti concili da Nicea a Vaticano II), ma ecumenisti. Del resto, l’anno seguente, il 5 giugno 1960, Giovanni XXIII crea un Segretariato per l’unità dei cristiani di cui affida la direzione al cardinal Bea, il quale è direttamente all’origine del decreto sull’ecumenismo di Vaticano II che rompe radicalmente col magistero anteriore. Nel suo discorso d’apertura, Giovanni XXIII tiene un discorso che fece sensazione proclamando la sua “fede” nell’avvenire e nel progresso. A cinquant’ anni di distanza, quest’ ottimismo vistoso appare totalmente fuori luogo. Che lo si giudichi : « Nell’attuale situazione della Società, certi non vedono che rovine e calunnie ; essi hanno abitudine di dire che al nostra epoca è profondamente peggiorata, in rapporto ai secoli passati… Ci sembra necessario esprimere il nostro completo disaccordo con questi profeti di sciagura che annunciano sempre delle catastrofi, come se il mondo fosse vicino alla sua fine… Occorre che la Chiesa si giri verso i tempi presenti che daranno nuove vie all’apostolato cattolico». UNA ROTTURA RADICALE Dunque, lo schema era messo in opera, per la più grande rivoluzione che la Chiesa abbia subito dalla sua nascita. Tra i 2381 vescovi presenti, soltanto dai tre ai quattrocento Padri conciliari (tra cui Mons.Lefebvre e Mons.de Castro Mayer) tentarono di resistere agli assalti dei modernisti raggruppandosi in seno al Coetus internationalis patrum, ma questo combattimento non fu purtroppo coronato dal successo, tanto la minoranza attivista era abile nella manipolazione delle masse, esperta nelle formule volontariamente equivoche, tanto più, ed è qui il punto essenziale, ch’ella poteva appoggiarsi su un alleato indispensabile nella persona di Giovanni XXIII e poi, a partire dal 1963, del suo successore Paolo VI. Occorrerebbero degli studi dettagliati — e in questi ultimi decenni non ne sono mancati — per analizzare, sezionare, commentare le circa duemila pagine di documenti firmati dai Padri conciliari e “promulgati” da Paolo VI il 7 dicembre 1965 e per spiegare l’assenza d’autorità e di legittimità del Vaticano II e degli uomini in abito bianco che vi si affidano. Si può a buon diritto considerare che Vaticano II era nei fatti un conciliabolo e non un vero concilio, tanto questi decreti hanno rotto col magistero tradizionale. E’ chiaro che Vaticano II ha voluto far passare la Chiesa dal teocentrismo all’antropocentrismo. Niente sotto questo aspetto è più eloquente del discorso di chiusura di Paolo VI : « La Chiesa del concilio s’è anche molto occupata dell’uomo, dell’uomo tale come in realtà si presenta alla nostra epoca, l’uomo vivente, l’uomo nella sua interezza occupato di sé, l’uomo che si fa non soltanto il centro di tutto ciò che l’interessa, ma che osa pretendersi il principio e la ragione ultima d’ogni realtà . L’umanismo laico e profano, alla fine, è apparso nella sua terribile statura e ha, in un certo senso, sfidato il concilio. La religione di Dio che s’è fatto uomo s’è incontrata colla religione — poiché di ciò si tratta — dell’uomo che s’è fatto Dio. Che cosa è successo? Uno choc, una lotta, un anatema ? Questo poteva accadere , ma non ha avuto luogo. La vecchia storia del Samaritano è stata il modello della spiritualità del concilio. Una simpatia senza limiti l’ha invaso interamente. La scoperta dei bisogni umani (e sono tanto maggiori quanto il figlio della terra si è fatto più grande) ha assorbito l’attenzione del concilio. Riconoscetegli almeno questo merito, voi, umanisti moderni che rinunciate alla trascendenza delle cose supreme, e sappiate riconoscere il nostro nuovo umanesimo. Anche noi , noi più che chiunque, abbiamo il culto dell’uomo. » “1789 NELLA CHIESA” Nessuna espressione potrebbe meglio definire il modo in cui le gerarchie ecclesiastiche hanno rinunciato ad essere un segno di contraddizione, aprendosi totalmente al mondo vale a dire all’errore, alla menzogna e all’apostasia, girando le spalle alle ingiunzioni dell’Apostolo San Giacomo che nella sua epistola grida forte : « Adulteri, non sapete che l’amicizia del mondo, è l’inimicizia contro Dio ? Chiunque vuol essere amico del mondo si rende nemico di Dio. » Come conseguenza, la Chiesa cattolica s’eclissava, era sotterrata, cedendo il posto alla chiesa conciliare e alla sua “rivoluzione d’ottobre” . Infatti il Vaticano II è riuscito ad applicare il motto della rivoluzione: la “libertà” si è introdotta attraverso la libertà religiosa o libertà delle religioni che mette sullo stesso piano l’errore e la verità, promuove la laicità dello Stato e nega il regno sociale di Gesù Cristo ; l’“uguaglianza” s’insinua attraverso la collegialità e il velenoso principio dell’egualitarismo democratico (in questo schema il vescovo non è più il padrone nella sua diocesi con le conferenze episcopali, il sacerdote nella sua parrocchia con i consigli parrocchiali, etc.) ; infine la “fraternità” si compie sotto forma di ecumenismo liberale che abbraccia tutti gli errori e le eresie e tende la mano a tutti i nemici della Chiesa cattolica, a cominciare dagli ebrei considerati come « fratelli maggiori ». La chiesa conciliare arriva anche fino ad insegnare che l’Antica Alleanza è sempre valida e ch’essa non è stata abrogata dalla Nuova Alleanza, ciò che è una maniera di dire, se si è logici, che la venuta di Cristo sulla terra ,la sua Passione, la sua morte e la sua Resurrezione furono alla fine inutili. L’accademico Jean Guitton, confidente ed amico di Paolo VI, amava ripetere che Vaticano II segnava la sparizione (almeno apparente) della Chiesa cattolica e la sua sostituzione con la chiesa ecumenica romana. Infatti , la nuova chiesa conciliare non possiede nessuna delle quattro caratteristiche che permettono di riconoscere a colpo sicuro la Chiesa Cattolica: essa non è né “una” poiché è democratica e pluralista (ad ogni prete la sua eresia), né “santa” poiché ha profondamente alterato i sacramenti creando dei nuovi riti che sollevano dubbi se non invalidi per la maggior parte (tema essenziale di cui non ci si preoccupa abbastanza) accanendosi così ad ostruire i canali della grazia santificante, né “cattolica” poiché è ecumenista e rompe radicalmente col magistero anteriore e neppure “apostolica” poiché non ha la fede degli Apostoli. In questa gigantesca impresa di distruzione niente è lasciato intatto: né la liturgia desacralizzata, né il catechismo tradizionale interdetto e sostituito da una vaga catechesi stile “diritti dell’uomo” ed ecumenista, neppure le costituzioni religiose, ne l’abito ecclesiastico, né gli Stati, sindacati, scuole e partiti cristiani tutti chiamati a fare la loro mutazione. A una Chiesa nuova corrispondono sacerdozio nuovo, ecclesiologia nuova, messa nuova, catechismo nuovo (1968 con Pietre Viventi e 1992 con il “Catechismo della Chiesa cattolica”), sacramenti nuovi, comunità nuove, nuovo cammino della Croce (1991), nuovo Rosario (2002), nuovo codice di diritto canonico (1983), nuovo rito d’ordinazione (1968), nuovo battesimo (1969), nuova cresima (1971), nuova estrema unzione (1972), nuova confessione (1973), nuovo breviario (1970), nuovo calendario liturgico (1969), nuovi oli santi (1970), nuovo Pater Noster (1966), nuovo Credo (dove è stata sostituita l’espressione « consustanziale al Padre » con « della stessa natura del Padre »). Tutto è stato detto sulle origini talmudiche della sinassi voluta da Paolo VI, sull’abbandono del carattere propiziatorio del santo sacrificio della messa, sull’eterodossia del nuovo codice di diritto canonico del 25 gennaio 1983 che toglie la scomunica dei massoni. Non è rimasta perfino la morale a non essere corrotta dall’inversione dei fini del matrimonio, dall’abbandono del principio tradizionale dell’autorità dell’ uomo sulla donna, dai discorsi strabilianti pronunciati da numerosi sacerdoti senza ch’essi siano mai sanzionati. In una volontà satanica di distruzione si puntano anche le congregazioni religiose le cui costituzioni sono tutte profondamente modificate, compresa quella dei Certosini che pur non era stata mai ritoccata dall’epoca del suo fondatore San Bruno. E le stesse chiese sono trasformate : all’altare maggiore girato verso Dio si sostituisce una semplice tavola orientata verso l’assemblea ; il prete (o quello che ne ha occupato il posto) è ridotto al ruolo d’animatore e di presidente d’una cerimonia secolarizzata. I confessionali sono abbandonati e fanno spesso il servizio di sgabuzzini per le scope. La sedia è soppressa o abbandonata, maniera simbolica di rinunciare al potere d’insegnamento della Chiesa, poiché nella religione conciliare non ci troviamo più nello schema della Chiesa maestra di verità che insegna al mondo la via, la verità e la vita ma in quello d’una chiesa che impara dal mondo, apprendendo al suo contatto, reagendo all’unisono. Si tratta di mettere in opera le condizioni d’un mondialismo politico-religioso ; nel nuovo ordine mondiale le religioni poste su un piano d’uguaglianza non sono in effetti che semplici animatrici e zelanti propagandiste della democrazia universale e dei suoi idoli : la dichiarazione dei diritti dell’uomo, il filosemitismo, la tolleranza eretta all’assoluto, il laicismo, la libertà di coscienza e di culto, l’antirazzismo unilaterale ed obbligatorio, la lotta accanita contro tutte le discriminazioni, anche naturali e legittime. NUOVI ORIENTAMENTI POLITICI Da qui gli orientamenti politici d’una nuova chiesa, compagna di strada del comunismo, del socialismo, della frammassoneria, delle organizzazioni ebree ed antirazziste, in breve dei nemici tradizionali e secolari della Chiesa cattolica. Dunque, non vi è niente di strano nel fatto che l’episcopato francese abbia sempre preso violentemente posizione contro la destra nazionale, preferendo sostenere le forze responsabili dell’aborto legalizzato e rimborsato, dello squagliamento della famiglia, dell’instaurazione dei Pacs, della generalizzazione della pornografia e della lussuria. Nulla di sorprendente neppure se questa nuova chiesa, dopo aver favorito la decolonizzazione e mostrato molta più mansuetudine per gli assassini e i “porteurs de valise” (1) del FLN che per i rimpatriati e i sostenitori dell’Algeria francese, sia uno dei rumorosi sostegni dell’immigrazione di massa, essenzialmente maomettana, che non cessa di riversarsi nel nostro paese e nel nostro continente. Dopo aver tradito Dio e il suo Vangelo, questi gerarchi hanno logicamente tradito la loro patria. Vaticano II, che è rimasto muto sul comunismo nel momento in cui provocava ancora milioni di morti, ha messo in opera l’apertura al mondo che è nei fatti un’ apertura unilaterale alla sinistra. Da qui la teologia della liberazione in America del Sud. Da qui la simpatia incessante manifestata verso il marxismo, il progressismo (che non ci si scordi della dichiarazione dei vescovi di Francia che approvarono calorosamente il maggio 1968), il femminismo (l’episcopato modernista s’è rallegrato nel 2000 dell’adozione della parità), l’invasione straniera. Poiché la religione del Vaticano II consiste nell’ abbracciare, e se possibile ad anticipare, tutte le mode, ad adattarsi al mondo moderno e ad inginocchiarsi, meravigliata, davanti all’Umanità deificata. Debole coi forti, i delinquenti, gl’immigrati “sans-papiers”, essa è spietata verso i deboli, i perseguitati, gli abbandonati. Neanche un solo prelato ha denunciato il trattamento inflitto all’epoca al nonagenario Maurice Papon o ai revisionisti crivellati d’ammende e messi in prigione. Neanche un solo prelato ha preso le distanze dalle campagne d’ odio contro il presidente del Front national, neppure in occasione delle manifestazioni tra i due turni delle presidenziali del 2002 dove erano scanditi tra gli altri graziosi slogan « per Le Pen una pallottola, per il FN una raffica», « Crepa carogna », « Le Pen fascista, maiale, il popolo avrà la tua pelle ». Al contrario, la nuova chiesa si pretende in prima linea nella lotta antirazzista, antifascista e antirevisionista. Dato che se è assolutamente permesso nella chiesa conciliare di contestare delle verità di fede o dei precetti morali, in compenso non si scherza col dogma olocaustico, come lo testimonia il caso Williamson. Meglio allora per un seminarista negare la verginità perpetua di Maria che esprimere un dubbio sulla Shoah. Servente dell’Umanità, la contro-chiesa del Vaticano II è in effetti uno dei guardiani vigilanti della contro-religione dell’Olocausto. La chiesa che non è più cattolica è divenuta democratico- olocaustica, la natura avendo orrore del vuoto. Ebbene, la Shoah o la Croce, bisogna scegliere ! LE CAUSE DI QUESTO RIBALTAMENTO Resta evidentemente a domandarsi come un simile rovesciamento sia stato possibile e perché abbia suscitato così poche resistenze. Non v’è una risposta semplice a queste domande. Si può a buon diritto incriminare il ruolo della potenza ebraica e del suo braccio armato, la framassoneria. Si pensi per esempio alla lettera scritta da un alto dignitario della Alta-Vendita dei Carbonari nel 1844 e che cadde provvidenzialmente nelle mani di Leone XII : « Noi dobbiamo arrivare al trionfo della rivoluzione attraverso un papa. Ora, dunque, per assicurarci un papa che faccia al caso nostro, si tratta subito di formargli una generazione degna del regno che noi sogniamo. Lasciamo da parte la vecchiaia e l’età matura; andate dalla gioventù e se possibile anche all’infanzia….E’ dalla gioventù che bisogna andare, è lei che dobbiamo addestrare, senza che le sorgano sospetti, sotto il vessillo delle società segrete. Una volta consolidata la vostra reputazione nei collegi, nei ginnasi, nelle università e nei seminari, una volta che abbiate colta la fiducia dei professori e degli studenti, fate che quelli che principalmente s’impegnano nella milizia clericale vogliano cercare il colloquio con voi…Questa reputazione darà accesso alle nostre dottrine nel seno di un clero giovane come nel più profondo dei conventi. Nel giro di qualche anno questo clero giovane avrà, per forza di cose, invaso tutte le funzioni: governerà, amministrerà, giudicherà, formerà il consiglio del Sovrano, sarà chiamato a scegliere il Pontefice che deve regnare e questo Pontefice, come la maggior parte dei suoi contemporanei, sarà più o meno imbevuto dei principi umanitari che noi stiamo iniziando a mettere in circolazione…Che il clero marci sotto il vostro stendardo credendo sempre di marciare sotto la bandiera delle Chiavi apostoliche. Tendete le reti come Simone Barjona; tendetele nel fondo delle sacrestie, dei seminari e dei conventi invece che nel fondo dei mari e se non sarete precipitosi, vi promettiamo una pesca più miracolosa che la sua…infiltrate il veleno nei cuori scelti a piccole dosi e alla sprovvista; alla fine sarete voi stessi stupiti del vostro successo. Avrete predicato una rivoluzione in tiara e piviale (ndr paramento liturgico), marciando colla croce e lo stendardo, una rivoluzione che non avrà bisogno che d’essere un po’ stimolata per accendere il fuoco ai quattro angoli del mondo…Ciò che dobbiamo domandare prima di ogni altra cosa, ciò che noi dobbiamo cercare e attendere, come i giudei che attendono il Messia, è un papa secondo i nostri bisogni. Fate scivolare negli spiriti i germi dei nostri dogmi, che preti e laici si persuadano che il Cristianesimo è una dottrina essenzialmente democratica”. Ma la spiegazione attraverso le potenze occulte, pur pertinente che sia, non esaurisce il tema. Non si può passare sotto silenzio la situazione mondiale al momento in cui i Padri conciliari si riuniscono nel 1962. La vittoria nel 1945 delle democrazie alleate all’Unione sovietica ha incontestabilmente creato un ambiente del tutto sfavorevole al fiorire della Chiesa e dei valori cristiani. L’edonismo generalizzato, l’individualismo esacerbato, l’egualitarismo forsennato, il materialismo radicale della democrazia liberale e del comunismo ateo non potevano alla lunga che influire negativamente sugli uomini di Chiesa come sull’insieme dei cattolici. Più generalmente il fatto che le istituzioni non fossero più cristiane da lungo tempo nella quasi totalità dei paesi del globo, e singolarmente nella maggior parte dei paesi d’Europa, neppure poteva favorire la crescita dell’influenza della Chiesa. Il Vaticano II s’iscrive in un mondo già fortemente scristianizzato e abbattuto da due sanguinose guerre mondiali. In un secolo e mezzo, la Rivoluzione francese ha avuto il tempo d’istillare il veleno delle sue idee perniciose all’Europa intera, se non a tutta la terra, veleno prolungato dalla vittoria del protestantesimo anglo-sassone e del comunismo ateo nel 1945. Infine, la dominazione ogni giorno più insolente della tecno-scienza ha creato un ambiente assai sfavorevole alla diffusione della Chiesa. Senza dubbio converrebbe risalire al Rinascimento e al suo umanesimo per spiegare la genesi delle idee che hanno trionfato al concilio. Se la Chiesa ha resistito agli assalti del protestantesimo al XVI°, del giansenismo al XVII°, del naturalismo filosofico al XVIII°, del liberalismo al XIX° e del modernismo nella prima metà del XX° secolo, è quest’ultima eresia, stigmatizzata da san Pio X nella sua magistrale enciclica Pascendi (1907), che finì per sedurre la quasi-totalità della gerarchia cattolica. I FRUTTI VELENOSI DELL’“AGGIORNAMENTO” I frutti di questa sovversione religiosa e politica, dottrinale e pastorale non si sono fatti attendere: affondamento delle vocazioni religiose e sacerdotali, caduta della pratica religiosa, salita vertiginosa dell’indifferentismo religioso, del relativismo morale, dello scetticismo filosofico. Dal 1960 circa le nuove generazioni sono allevate nella totale ignoranza della religione; la trasmissione non si fa più. Il deposito della fede non è stato custodito da quelli che avevano il dovere sacro di conservarla. Quindi, nulla di sorprendente se da mezzo secolo che la Chiesa cattolica è seppellita, occupata, occultata ed eclissata dal trionfante modernismo e da che noi viviamo dunque dei tempi anticristiani, la società s’è completamente decomposta, liquefatta. In cinquant’anni, il mondo ha cambiato più che in due millenni. Abbiamo lasciato la civilizzazione edificata da secoli di sforzi, di sacrifici, di devozione per una barbarie infinitamente peggiore che quella di un tempo. Il nostro mondo ha rigettato con ostinazione la verità conosciuta. Ebbene, come profetizzava il cardinale Pie (2), « quando il Buon Dio non regna colla sua presenza, regna con tutte le calamità dovute alla sua assenza ». Non molto tempo fa anche coloro che non erano cristiani, anche quelli che facevano professione di rigettare manifestamente Cristo e la sua legge, erano loro malgrado impregnati di valori cristiani. Sapevano ciò che voleva dire la parola data, l’onore, la fedeltà, il coraggio, l’educazione, l’eroismo, la virtù. Al giorno d’oggi tutte le parole sono fuorviate. Per un bambino di sette anni la parola “amore” è già irrimediabilmente insozzata. L’uomo moderno non è più legato a niente, se non al suo telefono portatile e ad Internet. Ogni riferimento trascendente gli è estraneo. Volendo sopprimere Dio, si è conseguentemente soppressa la morale. Da qui uno scatenarsi di odio, di violenza e di nichilismo. Da qui famiglie divise, scoppiate, decomposte, ricomposte. Da qui bambini abbandonati a sé stessi. Da qui lo scatenarsi di droga e pornografia. Da qui il trionfo satanico di tutte le inversioni : matrimonio omosessuale, teoria del gender, vomitevoli Gay Pride che riuniscono ogni anno un numero sempre maggiore di partecipanti, etc. Da qui il ricorso massiccio agli antidepressivi e agli ansiolitici, agli psichiatri e ai maghi. Da qui il contagio dei suicidi. Da qui il regno del niente, il trionfo insolente della menzogna e di Mammona. Noi viviamo in questo momento tre episodi dell’Antico Testamento : la torre di Babele, il vitello d’oro e Sodoma e Gomorra. Dobbiamo credere che se la Chiesa cattolica non fosse stata tradita da quegli stessi che avevano l’incarico sulla terra di presiedere alla sua perennità saremmo finiti così ? TEMPI APOCALITTICI E ANTICRISTICI Infine, ci si può domandare se il Vaticano II non segni il punto finale d’un incessante arretramento della Chiesa cattolica iniziato da molti secoli. Al XI° secolo, l’Oriente lasciava la comunione della Chiesa romana collo scisma ortodosso; al XVI° l’eresia protestante si prendeva la metà dell’Europa ; il giansenismo pervertiva il XVII° ; il naturalismo della filosofia dei Lumi sconvolgeva nel XVIII° le fondamenta stesse della società, il liberalismo politico e filosofico combattuto dal Sillabo e da tutti i papi, da Pio VI a Pio XII, marcava della sua detestabile impronta il XIX° e assai logicamente il modernismo fu e rimane l’eresia del XX° e dell’inizio di questo XXI° secolo. Tuttavia, malgrado i colpi che le erano inflitti, malgrado i suoi arretramenti e le sue sconfitte, la Chiesa non abbassava le braccia. Ciò che perdeva in Europa, lo conquistava grazie all’evangelizzazione del nuovo mondo poi grazie alle missioni in Asia e in Africa. Nuove congregazioni religiose, altri istituti d’insegnamento vedevano la luce. La novità dopo il 1960, è che non si tratta più d’una crisi di crescita ma, incontestabilmente, d’una crisi di coscienza. Se il Vaticano II è stato possibile, e se si ebbero purtroppo così poche reazioni, è senza dubbio in fin dei conti perché il credere era divenuto superficiale, se non fittizio, meramente esteriore. Molti avevano fretta di disfarsi d’una morale giudicata retrograda, di dogmi contrari allo spirito progressista e razionalista, d’una obbedienza a Cristo e alla sua legge vissuta come eccessivamente coercitiva. Si pone allora una ultima questione : come uscire da questa crisi ? Pare vano aspettarsi un ritorno dei modernisti alla fede cattolica, gli stessi che hanno commesso la colpa imperdonabile di combattere la verità conosciuta, peccato contro lo Spirito Santo e che rifiutano di vedere i disastri che le loro eresie e la loro apostasia non smettono d’ingenerare. Inoltre, i modernisti sono riusciti a neutralizzare quasi tutte le resistenze, i gruppi così detti tradizionalisti aderendo gli uni dopo gli altri alla Roma apostata o anelando nel trovare un accordo con quegli stessi che distruggono la fede. Prima di loro, la quasi totalità dei vescovi conservatori raggruppati nel Coetus internationalis patrum avevano finito per accettare il Vaticano II e le riforme che ne sono uscite, sottoscrivendo subito i decreti del conciliabolo nel 1965 ed applicando la rivoluzione conciliare nelle loro rispettive diocesi. La crisi spaventosa che noi viviamo ha una evidente dimensione escatologica, bisogna essere ciechi o in mala fede per ignorarlo. Se San Paolo ha predetto a Timoteo che « verranno i giorni in cui gli uomini non sopporteranno più la santa dottrina”, se il cardinal Pie ha profetizzato che « la Chiesa si sarebbe ridotta a dimensioni individuali e domestiche », se la Santa Vergine disse a Mélanie a La Salette che «Roma perderà la fede e diventerà la sede dell’Anticristo », se si dice nella versione integrale dell’Esorcismo di Leone XIII « Là dove fu istituita la sede del beato Pietro e la sedia della Verità, là hanno posto il trono del loro abominio nell’empietà, in maniera che essendo colpito il pastore, il gregge possa essere disperso », se con la sinassi di Paolo VI noi vediamo « l’abominio della desolazione nel luogo santo » (Matteo XXIV, 15), nondimeno il Cristo, capo della Chiesa, ha promesso alla istituzione che ha fondato l’indefettibilità ed è forte di questa promessa divina che malgrado le tenebre attuali, le rovine che dovunque s’accumulano, i cristiani fedeli conservano nel cuore un’ invincibile speranza sovrannaturale. Sicuri che il ritorno di Cristo che distruggerà l’Anticristo « col soffio della sua bocca » (Tessalonicesi II, 8) quando dalla Parusia renderà a ciascuno ciò che gli è dovuto e porrà un termine definitivo ai tempi apocalittici che stiamo vivendo. (1) “Les porteurs de valise” - i portatori di valigia – così venivano chiamati quegli agenti al servizio del FLN (il fronte di liberazione nazionale che lottava per l’indipendenza algerina) che facevano uscire il danaro dalla Francia per metterlo a disposizione del FLN al Cairo, in Tunisia o in Marocco; costoro erano francesi reclutati alla causa antifrancese ed erano sovente intellettuali comunisti o cristiani progressisti.(2) Louis-Edouard Cardinal Pie (1815-1880), vescovo di Poitiers, una delle più eminenti figure della Chiesa di Francia nel XIX° secolo, è considerato uno dei maggiori difensori dell’ortodossia di fronte agli errori del razionalismo e del liberalismo.

lunedì 15 ottobre 2012

LETTERA APERTA ALLE AUTORITA’ ECCLESIASTICHE: ESIGERE I TRIBUTI SEGUENDO SAN TOMMASO O MAMMONA?

Vorrei soffermarmi sulle recenti affermazioni di alcuni alti, prestigiosi e colti prelati, il cardinal Bagnasco presidente della CEI, mons.Caffarra arcivescovo di Bologna e mons.Mazzoccato, arcivescovo di Udine, sul tema del pagamento dei tributi allo Stato. Ha affermato il primo che chi evade commette peccato, ha detto il secondo che pagare le tasse è un obbligo morale e ha tuonato il terzo che “l’evasione fiscale è un furto” giungendo a proclamare che “chi non versa le tasse si trattiene qualcosa che in realtà non è suo”. Ma è così, secondo la millenaria e consolidata dottrina cattolica? San Tommaso distingueva tre ordini di giustizia, quella legale - o generale - quella commutativa e quella distributiva. La prima è quella che orienta gli uomini al bene comune, è dettata dall’autorità e consiste nel dovere di sottomissione alle sue leggi. La giustizia commutativa è quella che si deve realizzare nei rapporti personali, ossia quando avviene uno scambio deve realizzarsi una giusta proporzione tra le due prestazioni in modo tale che nessuno dei contraenti ne riceva danno. Nella giustizia distributiva prevale un aspetto sociale, ossia la distribuzione dei beni comuni che deve raggiungere tutti i componenti della comunità, ma non necessariamente in maniera uguale bensì proporzionata non solo alle esigenze ma anche ai meriti, all’onore e allo status delle persone. Ciò detto sorge la necessità di differenziare, giuridicamente, il concetto di tassa da quello di imposta. La prima è ciò che lo Stato richiede come corrispettivo di una sua prestazione; se vuoi un certificato lo paghi, se vuoi un servizio corrispondi allo Stato l’ammontare del costo. Qui viene in evidente considerazione la giustizia commutativa; poco importa che uno dei soggetti sia lo Stato, perché prevale l’aspetto del rapporto di scambio e conseguentemente sorge la necessità di una giusta proporzione tra il dato e l’avuto. La seconda invece, come il nome suggerisce, rappresenta un contributo coattivo prelevato dalle attività economiche e dal lavoro per assicurare un’entrata economica al bilancio dello Stato e una copertura finanziaria dei servizi pubblici. L’ imposta non è connessa a una specifica prestazione da parte dello Stato o degli enti pubblici e la sua base imponibile è la ricchezza su cui viene applicato il prelievo. L’istituto dell’imposta si collega dunque sia al concetto di giustizia distributiva sia a quello di giustizia legale e non deve violare i principi di quella commutativa; è giusto e doveroso che ognuno conferisca alla società, per i bisogni collettivi, una quota dei propri beni in proporzione alle sue capacità – ma va sottolineato che la dottrina cattolica respinge decisamente una concezione, quale sembra emergere dalle parole di mons.Mazzoccato, socializzata e statalista della proprietà privata che, caso mai, deve essere orientata a scopi sociali - ma l’autorità civile deve usare i beni messi in comunione attraverso una equa distribuzione tra i membri della società e un utilizzo conforme alla giustizia e alle necessità fondamentali dello Stato. Mons. De Paolis, già Segretario del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica e oggi cardinale Delegato Pontificio per la Congregazione dei Legionari di Cristo e già Presidente della Prefettura degli Affari Economici della Santa Sede affermava: “il Legislatore ha il diritto di imporre le tasse, il cittadino ha il dovere di pagarle, ma il governo deve usare bene quei soldi: se li usa male o se la tassazione è eccessiva, viene a mancare il presupposto”. Chi ha ragione, allora, Mons.Bagnasco o Mons. De Paolis? Seguendo il ragionamento del secondo - e della dottrina tradizionale - il diritto dello Stato all’imposizione fiscale non si pone come assoluto ma relativo, ossia deve obbedire ad un ordine morale oggettivo e quindi il dovere fiscale dei cittadini è condizionato dall’essere l’imposta “giusta” – ossia finalizzata al bene comune – e “non eccessiva”. Vediamo allora come funzionano tasse, imposte e quali destinazioni sono riservate al danaro prelevato. Se ci soffermiamo ad esaminarne qualcuna tra le decine in vigore, ci piace ricordare la tassa sui cani, sull’autovettura, quella sui gradini che s’affacciano sul marciapiede e sull’ombra proiettata da un balcone o da una sporgenza sul suolo pubblico o, ancora, quella sui passi carrai; qual è la controprestazione che lo Stato offre a chi possiede autovetture, cani, gradini, proietta ombre e vuole uscire di casa senza usare l’elicottero? In che cosa consiste il beneficio somministrato dall’ente pubblico? Nel non murare il nostro cancello? Nel non mandarci a casa l’accalappiacani? Nel non abbattere a cannonate gradini e balconi? Nel non sgonfiarci le ruote dell’auto tutte le volte che la usiamo e la parcheggiamo? Nel non notificarci a casa la cartella esattoriale se chiniamo la testa e paghiamo? E queste solo per ricordare le più ridicole e vessatorie. Ci troviamo evidentemente di fronte ad una totale carenza di giustificazione sotto il profilo del principio commutativo; nessun beneficio, in questi casi paradigmatici e in decine di altri, sussiste per chi paga il tributo che, gabellato come “tassa”, in realtà è un vero e proprio balzello senza un pur minimo fondamento sinallagmatico che lo giustifichi. Le imposte, che colpiscono redditi, patrimoni e transazioni suscettibili di apprezzamento economico, la fanno però da padrone. E tra queste vorrei ricordare i tributi che gravano sulle transazioni: l’imposta di registro che colpisce spostamenti di ricchezza che però non significano necessariamente un aumento del proprio patrimonio; chi compra una casa non se la vede regalare dal vecchio proprietario ma deve pagarla e la acquista con danaro che, frutto di risparmio, non è che il residuo di un capitale già colpito da imposta e che quindi ha già “assolto” ad una pretesa ed ipotetica funzione di giustizia legale e distributiva. Chi, in forza d’una sentenza, si vede riconoscere il diritto alla restituzione d’una somma dovuta e su cui, privato o impresa , già deve pagare o magari già ha corrisposto l’imposta sul reddito, perchè deve versare allo Stato un’ulteriore percentuale come imposta di registro? Perché questa duplicazione ingiusta e vessatoria? E come giustificare gli altissimi tassi che gravano sugli stipendi e sulle entrate dei cittadini? Le imprese, secondo una recente analisi, sono colpite da un’imposizione che complessivamente supera il 60% del reddito prodotto. E i lavoratori, autonomi e dipendenti, che sopportano il peso dell’imposta indiretta sui propri consumi, pagati con danaro già colpito dal prelievo che grava sul reddito, vedono i loro guadagni più che dimezzati. E, ancora, come giustificare la tassa sulla proprietà della prima casa, acquistata con danaro già gravato dalle imposte sui redditi e dalla successiva corresponsione dell’imposta di registro? Facile rispondere che “lo Stato ha bisogno di soldi”. Perchè a questa pretesa giustificazione morale (di morale laica e dunque ben poco oggettiva ) si può contrapporre quanto già sottolineato ossia che, secondo la dottrina tradizionale della Chiesa, non esiste il diritto assoluto alla pretesa dell’imposta ma solo un diritto che può trovare giustificazione nella sua non eccessività e, inoltre, nella necessità per l’Autorità dello stato di realizzare il bene comune; in questo ampio concetto possiamo tranquillamente ammettere il raggiungimento di una migliore distribuzione del reddito attraverso la concessione di benefici sociali alle fasce più svantaggiate della popolazione e il mantenimento di quella complessa macchina amministrativa che serve(recte, dovrebbe servire) a far funzionare sanità, giustizia, scuola, polizia ed altre funzioni che si assumono di stretta competenza dello Stato; ma sempre a condizione che queste funzioni siano assolte senza sciali, clientele, corruttele e per scopi conformi al diritto naturale. Il prestigioso giurista cattolico Carlo Francesco D’Agostino affermava che “lo Stato che ci metta le mani sopra (la proprietà privata), all’infuori di quello che sia la giusta corresponsione dei servizi che rende - e dei soli servigi indispensabili al bene comune - è semplicemente un ladro ed un violento” Ed allora, anche a voler benignamente sorvolare su come quelle funzioni siano concretamente realizzate e quelle condizioni concretamente rispettate, va osservato che è ormai fatto notorio che il debito pubblico in Italia comprende vere e proprie voci di spesa , sempre crescenti, che non trovano alcuna legittimazione etica e/o esulano dai compiti primari dello Stato e comprendono regalie e benefici concessi alle caste parlamentari e politiche, mantenimento d’una burocrazia inutile e parassitaria, finanziamenti buttati nella partecipazione ad “operazioni di pace” che in realtà nascondono la complicità in veri e propri immorali ed indifendibili atti di guerra e d'invasione e altri innumerevoli sprechi che favoriscono le solite clientele. Lo Stato – lo “Stato Provvidenza” che ci viene presentato come portatore di benessere -ha invaso la nostra vita quotidiana e, come prezzo dell’invasione, getta come Brenno la propria spada sulla bilancia pretendendo che il peso del suo strumento di “occupazione” sociale, una burocrazia politica ed amministrativa che trova principalmente giustificazione solo in sé stessa, sia mantenuta dai sudditi dell’. Ma v’è di più; il debito pubblico è in gran parte conseguenza della svendita dello Stato della propria sovranità monetaria al sistema bancario. Lo Stato, emettendo titoli pubblici che consegna al sistema bancario che li riceve in contropartita del prestito di danaro che crea dal nulla, naturalmente s’indebita per il valore nominale corrispondente aumentato degl’interessi; alla scadenza lo Stato rimborsa il titolo al suo portatore che lo ha a sua volta acquistato dal sistema bancario che li ha venduti al pubblico; morale: il sistema bancario ha incassato, col costo tipografico delle banconote stampate, il rimborso del valore nominale dei titoli e l’ammontare degli interessi che lo Stato gli ha corrisposto drenando le necessarie risorse attraverso il sistema impositivo, in una spirale diabolica d’indebitamento e di strozzinaggio legalizzato. Può essere allora moralmente preteso, in nome d’una giustizia legale che implica il soddisfacimento dell’esigenza del “bene comune”, che il cittadino, a causa d’una scelta suicidaria dello Stato, retto evidentemente da insipienti, traditori e vili, s’impoverisca per alimentare l’arricchimento senza giustificazione logica ed etica del sistema bancario? O che si dissangui per permettere il perpetuarsi d’una ingente spesa burocratica che non trova alcuna legittimazione se non come strumento d’occupazione e di controllo? Dove sta la moralità, la giustificazione della finalità del bene comune? Dove sta il presupposto logico della pretesa fiscale dello Stato? Non è che gli alti prelati citati all’inizio confondano “Equità” con “Equitalia” ? Eppure la Chiesa , fino a poco tempo fa, non si sbagliava nell’indicare i propri nemici; quanto alla spesa burocratica Pio XII – papa Pacelli - affermava che “I bisogni finanziari di ogni nazione, grande o piccola, sono formidabilmente aumentati, per colpa, non solo delle tensioni o complicazioni internazionali, ma anche soprattutto, forse, della smisurata estensione dell’attività dello Stato; attività, la quale, dettata troppo spesso da ideologie false o malsane, fa della politica finanziaria, e in modo particolare della politica fiscale, uno strumento al servizio di preoccupazioni di ordine totalmente diverso. […] Ecco perché rivolgendosi a coloro che hanno qualche parte di responsabilità nel maneggio delle questioni di finanza pubblica, [la Chiesa] li scongiura: in nome della coscienza umana, non rovinate dall’alto la morale! Astenetevi da provvedimenti che […] urtano e feriscono nel popolo il sentimento del giusto e dell’ingiusto, o ne pospongono la forza vitale, la legittima ambizione di cogliere il frutto del proprio lavoro, la sollecitudine della famiglia; considerazioni queste, che meritano di occupare il primo posto, non l’ultimo, nella mente del legislatore” (PIO XII, Allocuzione ai membri del Congresso dell’Istituto Internazionale delle Finanze pubbliche, 2 ottobre 1948). E a proposito della concentrazione della proprietà del danaro così scriveva Pio XI – papa Ratti – nell’enciclica “Quadragesimo anno” del 1931: “E in primo luogo ciò che ferisce gli occhi è che ai nostri tempi non vi è solo concentrazione della ricchezza, ma l’accumularsi altresì di una potenza enorme, di una dispotica padronanza dell’economia in mano di pochi, e questi sovente neppure proprietari, ma solo depositari e amministratori del capitale, di cui essi però dispongono a loro grado e piacimento (…) Questo potere diviene più che mai dispotico in quelli che, tenendo in pugno il danaro, la fanno da padroni; onde sono in qualche modo i distributori del sangue stesso, di cui vive l’organismo economico, e hanno in mano, per così dire, l’anima dell’economia, sicché nessuno, contro la loro volontà, potrebbe nemmeno respirare”. E nella medesima enciclica così si affermava in ordine ai rapporti tra Stato ed individuo: “La pubblica autorità però, come è evidente, non può usare arbitrariamente di tale suo diritto; poichè bisogna che rimanga sempre intatto e inviolato il diritto naturale di proprietà privata e di trasmissione ereditaria dei propri beni, diritto che lo Stato non può sopprimere, perché l'uomo é anteriore allo Stato (enc. Rerum novarum, n. 6), ed anche perché il domestico consorzio è logicamente e storicamente anteriore al civile (enc. Rerum novarum, n. l0). Perciò il sapientissimo Pontefice (Leone XIII) aveva già dichiarato non essere lecito allo Stato di aggravare tanto con imposte e tasse esorbitanti la proprietà privata da renderla quasi stremata. Poiché non derivando il diritto di proprietà privata da legge umana, ma da legge naturale, lo Stato non può annientarlo, ma semplicemente temperarne l'uso e armonizzarlo col bene comune (enc. Rerum novarum, n. 35)”; San Tommaso d’Aquino insegnava che «il regno non è per il re, ma il re è ordinato al buon governo». Ossia il fine dell’autorità civile è soltanto il bene comune dei cittadini. Oggi lo Stato invade arbitrariamente la vita dell’uomo, schiacciandolo sotto il peso di una burocrazia corpulenta, cercando di porre sotto il proprio controllo ogni aspetto della sua esistenza e facendogli pagare a caro prezzo questa sua intrusione; magicamente lo Stato invece scompare là dove una sua presenza potrebbe garantire un ordinato sviluppo economico e sociale, ossia nel campo monetario e creditizio in cui ha lasciato via libera alle forze sempre più incontrollate della speculazione finanziaria e dell’usura legalizzata; e qui il prezzo che si pretende far pagare al cittadino è ancora più salato. Deve pagarle allora lui le scelte sciagurate dello Stato, dettate da insipienza, viltà e tradimento? Diteci, dunque: dobbiamo ubbidire alla giustizia secondo San Tommaso o secondo Mammona?