sabato 3 settembre 2011

LA LIBIA DI GHEDDAFI SOTTO LE BOMBE DELLA NATO

LA LIBIA DI GHEDDAFI SOTTO LE BOMBE DELLA NATO
(tratto da "Chronique du choc des civilisations" di Aymeric Chauprade, IIº edizione, Parigi 2011, traduzione e diffusione autorizzate)

IL REGIME DEL COLONNELLO GHEDDAFI ERA RIUSCITO A MANTENERE UNA CERTA UNITA' IN UN PAESE DI FATTO PROFONDAMENTE FRAMMENTATO. LA SOLLEVAZIONE DEI TERRITORI DELL'EST, NELLA PRIMAVERA DEL 2011, HA INIZIALMENTE UN CARATTERE TRIBALE. QUANTO ALL'INTERVENTO ARMATO DELLA NATO, NON E' SENZA RELAZIONE COLLE RICCHEZZE IN PETROLIO E IN GAS PRESENTI NEL SOTTOSUOLO E NELLE PROFONDITA' MARINE DELLA LIBIA.

Il 1º settembre 2009, il regime del colonnello Muhammar Gheddafi festeggia in grande pompa il suo 40º anniversario. Riabilitato dal 2007 da Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti, il regime ha ufficialmente girato le spalle al terrorismo (esplosione di due aerei commerciali occidentali, sopra Lockerbie e sopra il deserto del Teneré, ma anche sostegno all'IRA e all'ETA basco negli anni settanta-ottanta) e alle armi di distruzione di massa.
Quel giorno a Tripoli, tra i numerosissimi invitati d'onore venuti dal mondo intero si ritrovano i presidenti dello Zimbabwe Mugabe e del Sudan Omar Hassan al Bashir, il capo più noto della pirateria somala, Mohammed Abdi Hasan Hayr, il premier italiano Silvio Berlusconi....
A metà febbraio 2011, l'onda d'urto conseguente all'affondamento dei regimi di Ben Ali in Tunisia e di Moubarak in Egitto provoca una nuova sollevazione delle province ribelli al governo di Tripoli.
La LIbia sprofonda rapidissimamente nella guerra civile e degli aspri combattimenti s'accendono tra le forze lealiste (Tripolitania all'ovest) e i ribelli di Bengasi (Cirenaica all'est).
Il 19 marzo 2011, mentre in Bahrein la polizia spara sui manifestanti sciiti già da più d'un mese, una coalizione condotta da Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna (che ha ottenuto un limitato mandato ad agire dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite - risoluzione 1973), lancia la sua offensiva in Libia.
L'intervento della NATO ha luogo in uno Stato la cui unità è fragile. La LIbia non è uno Stato-nazione; essa è costituita dalla somma di tre province (Tripolitania, Cirenaica, Fezzan) che si sono sempre opposte le une alle altre. L'unità del paese s'è costituita attraverso l'ideologia della rivoluzione di Gheddafi nel 1969 (la Jamahiriya), ma questa non ha mai annullato le logiche tribali e solo l'abilità del leader della rivoluzione ha saputo calmare gli antagonismi.
La geopolitica della Libia è innanzitutto quella delle 140 tribù (di fatto una trentina soltanto hanno un peso reale) che popolano le due province costiere tradizionalmente antagoniste, la Tripolitania e la Cirenaica (ossia l'essenziale della massa demografica del paese) e l'immensa provincia desertica del Fezzan.
La Cirenaica guarda verso l'Egitto (dove i ribelli hanno trovato dei sostegni) ed il Medioriente, mentre la Tripolitania è rivolta verso il Maghreb (ciò che spiega, oltre alla paura del contagio rivoluzionario, il discreto sostegno dell'Algeria al regime di Gheddafi). La Cirenaica è la culla dello Stato moderno della Libia, fondato da una monarchia uscita dall'ordine dei Senussi, una corrente sufi fondata nel 1842 ad Al-Baida, che pratica un islam rigorista e conservatore; questa corrente ha sempre rappresentato una forza politica sotterranea opposta agli aspetti modernizzatori e laicizzanti della rivoluzione gheddafiana. Ospita al suo interno le correnti dijhadiste più radicali del paese.
Gheddafi, membro della tribù tripolitana dei Kadhafa, rovescia il re Idris Iº nel 1969. Favorisce la sua tribù e tuttavia, questa non essendo numerosa, forma un'alleanza con le due altre grandi tribù dell'ovest del paese, i Warfallah (Tripolitania, un sesto della popolazione, ossia più d'un milione di libici) e i Magariha (Fezzan). Le altre tribù di Tripolitania, meno numerose e più distanti della confederazione tribale pro-Gheddafi, saranno regolarmente contaminate dallo spirito di sedizione.
Ma sono le tribù di Cirenaica che hanno costituito da sempre - e ben prima del 2011 - i bastioni della ribellione contro Tripoli; a cominciare dagli Zumaya, la più importante delle tribù libiche, protettrice d'importanti campi petroliferi (Sarir, Messla, Aquila). Alcune di queste tribù sono nel campo dell'islamismo radicale: i Misurata (all'est, assai presenti a Bengasi e a Darnah), gli Al-Awiqir (Al-Baida, città dei Senussi).
ARMI RIVENDUTE AI TERRORISTI
Il 20 febbraio 2011, quando Seif Al-Islam, uno dei figli di Gheddafi, paventa la prospettiva d'un bagno di sangue in un suo discorso trasmesso per televisione (e la cui presentazione, deformata dai media occidentali, servirà da pretesto all'asse Washington-Londra-Parigi per intervenire militarmente), egli prende di mira in realtà "l'emirato islamico di Al-Baida". Il potere libico non fa che agire esattamente come fa, nello stesso momento, il potere yemenita di Alì Abdallah Saleh, il quale pratica ugualmente la punizione collettiva delle tribù ribelli - una tradizione tribale e beduina.
Una spiegazione che i poteri occidentali si guardano bene dal mettere in luce, poiché essa vale ugualmente per l'insieme dei loro alleati del golfo arabo-persico !
La stessa disinformazione occidentale si diffonde a proposito dei pretesi mercenari neri di Gheddafi. Si tratta in effetti dei Toubous, una delle tribù turbolente della Libia che, come i Tuareg, vive in piccoli gruppi nelle difficili condizioni del deserto, vicino alle montagne del Tibesti. Si tratta dunque di libici e non di stranieri. Ed essi sono pagati, come quasi tutte le tribù che entrano nell'uno o nell'altro dei campi, poiché nella tradizione araba beduina la fedeltà la si compra coll'oro. Del pari, la geopolitica libica deve prendere in conto i Tuareg, berberi puri che non si sono mescolati alle popolazioni arabizzate delle coste e che praticano il nomadismo vicino alla frontiera algerina. I Tuareg hanno recuperato una parte delle armi razziate nei depositi di munizioni dell'esercito regolare e le rivendono a trafficanti e a terroristi (AQMI - Al Qaeda Maghreb Islamico) di ogni risma.
La realtà libica è dunque quella dello scoppio dell'equilibrio tribale che Gheddafi aveva saputo mantenere grazie alla manna petrolifera. Sono d'altronde gli interessi petroliferi, dissimulati (come in Afghanistan, in Iraq, nel Darfour...) dietro la maschera del dovere d'ingerenza democratica ed umanitaria, che spiegano ampiamente l'interventismo occidentale.
La rimozione dell'embargo nel 2003 e la corsa alle risorse energetiche del paese avevano fatto dimenticare al grande pubblico (ma non alle grandi compagnie petrolifere) il ruolo centrale di Gheddafi nel primo choc petrolifero del 1973 e le nazionalizzazioni ch'egli decise nel suo paese.
I nazionalismi petroliferi della Russia, dell'Iran, del Venezuela, dell'Ecuador e della Libia costituiscono effettivamente il nemico assoluto delle "majors" occidentali, oscurate sempre di più dalle grandi compagnie nazionali dei paesi produttori (Petrobras in Brasile, PDVSA in Venezuela, Rosneft e Gazprom in Russia...).
UN' ALTERNATIVA AL GAS RUSSO
Il petrolio libico è di ottima qualità e il suo costo d'estrazione è basso. E', così come il suo gas, geograficamente vicino all'Europa. La Libia rappresenta il 40% delle riserve di petrolio in Africa, il 3% delle riserve mondiali ed è il secondo produttore d'oro nero del continente, dietro la Nigeria e davanti all'Algeria.
Petrolio e gas costituiscono il 95% dei ricavi delle esportazioni della Libia, ossia, nel 2009, 30 miliardi di dollari derivati dal petrolio e 3.8 miliardi dal gas: al tempo stesso, lo Stato libico importa il 75% dei propri bisogni alimentari, ciò che costituisce una debolezza ancora maggiore.
Quanto al gas, esso è in ritardo sul petrolio in termini di sfruttamento. La Libia rappresenta un potenziale assai importante per l'Europa e, come l'Algeria, un serbatoio alternativo al gas russo (un terzo delle riserve mondiali). In questi ultimi tempi la Libia, come l'Algeria, si stava avvicinando a Mosca. L'Europa (gli Stati Uniti essendo autonomi quanto al gas) temeva forse una "Opec" del gas capace di strangolarla? Lo sfruttamento del gas costituisce una posta in gioco importantissima nei decenni a venire, poichè la metà delle riserve petrolifere continentali contengono del gas associato.
Il più grande progetto concernente il gas, nel mondo, è offshore, situato al largo di Ghadames, nel nord-ovest del paese (con un obiettivo di produzione di 10 giga metri cubi di gas all'anno; ndt 1 gm = 1 miliardo di metri cubi).
Ad ognuno degli elementi geopolitici antagonisti che sono la Tripolitania e la Cirenaica, corrisponde una zona di produzione d'idrocarburi (petrolio e gas). La Tripolitania estrae il petrolio dal campo Elefante, situato nel deserto dell'ovest (Fezzan) e l'invia a Tripoli ma vi è anche il campo gasifero di Wafa che utilizza il gasdotto Greenstream dalla frontiera algerina fino in Italia; una parte costituita da gas liquefatto alimenta la Spagna. Dai campi petroliferi della Cirenaica il grosso del petrolio libico parte verso la raffineria strategica di Ras Lanuf.
Sotto il regime di Gheddafi l' ENI (presente dal 1959, ossia dieci anni prima della presa del potere del rais) è divenuto l'attore straniero maggiore nel settore petrolifero e gasifero libico. L'Italia dipende d'altronde dalla sua ex colonia per il 24% del petrolio importato e per il 15% del gas importato, percentuali certamente considerevoli.
Una Libia governata dall'est (Bengasi) e non più dall'ovest (Tripoli) avvantaggerebbe gli inglesi del British Petrolium - BP ; questa compagnia nutre delle ambizioni fortissime in Libia, particolarmente nello sfruttamento delle profondità dell'offshore marino situato nel golfo della Sirte.
Dopo la catastrofe del golfo del Messico dell'aprile del 2010 che ha seriamente colpito le sue finanze, BP deve trovare urgentemente delle nuove riserve da sfruttare. Gheddafi, dopo quella catastrofe, aveva alzato le sue pretese per l'autorizzazione al trivellamento nel golfo della Sirte. BP e Total s'attendono molto da un nuovo regime costituito da uomini di fiducia di Londra e Parigi. Gli italiani, in compenso, avranno senza dubbio delle difficoltà a mantenere i propri interessi allo stesso livello del periodo del vecchio regime.
La Libia del dopo-Gheddafi è entrata in un clima di permanente guerra civile. Le potenze occidentali, che intendono riorganizzare il dato petrolifero e gasifero, si scontreranno a molti ostacoli per ritrovare la stabilità: in primo luogo, come in Iraq nel 2003, i depositi d'armi dell'esercito regolare sono stati razziati; la popolazione è armata ed è prevedibile un utilizzo massiccio ed indiscriminato di "IED" (ordigni esplosivi improvvisati). In secondo luogo l'equilibrio tribale è saltato e senza l'emergenza d'un uomo forte capace di ricostruirlo, appare prevedibile una guerra intertribale paragonabile a quella comunitaria dell'Iraq post Saddam Hussein .
In terzo luogo l'Algeria e l'Egitto, in maniera tra loro contrastante, cercheranno di giocare un ruolo nel dopo-Gheddafi.
UN BASTIONE DELL'ISLAMISMO RADICALE
Della caduta di Gheddafi e della divisione duratura del paese rischia di approfittare l'islam radicale. I djihadisti libici hanno partecipato per lungo tempo alle operazioni in Afghanistan (contro i russi), in Bosnia, in Cecenia, in Iraq. Dopo aver lasciato l'Afghanistan all'inizio degli anni novanta, molti djihadisti sono rientrati in patria creando un gruppo divenuto nel 1995 il "Gruppo libico di combattimento islamico" che conduce una guerriglia contro Gheddafi. Il 3 novembre 2007 un messaggio audio del numero 2 di Al-Qaeda, Ayman Al-Zawahiri, indicava che il gruppo s'era ufficialmente unito alla rete islamista. Al-Qaeda ha sempre potuto contare su un numero importante di libici al più alto livello, quali Abu Yahya Al-Libi, Anas Al-Libi, Abu Faraj Al-Libi (detenuto a Guantanamo) e Abu Laith Al-Libi, ucciso nel gennaio 2008 da un drone in Pakistan. Il peso della partecipazione libica nella lotta djihadista in Iraq è poi divenuto evidente quando, nel settembre 2007, gli americani hanno sequestrato degli schedari di Al-Qaeda in una casa della città irachena di Sinjar. Questi "Sinjar files" hanno rivelato, in primo luogo, che i libici costituivano la prima nazionalità tra i djihadisti stranieri in Iraq e, in secondo luogo, ch'essi venivano tutti da Darnah e da Bengasi (Libia orientale). Dopo l'Afghanistan (durante la guerra fredda), poi le guerre di Bosnia, del Kossovo e dell'Iraq, dopo il sostegno all'AKP in Turchia e ai Fratelli Musulmani nel mondo arabo, gli USA offrono in Libia un nuovo episodio della loro alleanza sotterranea con l'islam radicale.