martedì 23 febbraio 2010

LA CORRUZIONE VIENE DA LONTANO

"A rifar l'Italia bisogna disfare le sètte" (U.Foscolo)

L'intervento dell'ex ministro del governo Berlusconi, Giuseppe Pisanu, vecchio e scaltro democristiano é di quelli da annotare.
Intervistato sul Corriere di oggi trancia un giudizio senza appello: " Sono giorni che vado maturando queste parole...non credo di esagerare se dico che é il Paese ad essere corrotto. C'é la corruzione endemica, denunciata dalla Corte dei Conti; e c'é quella piú strutturata e sfuggente delle grandi organizzazioni criminali...Ogni anno le mafie riversano su tutta l'Italia fiumi di denaro sporco che vengono immessi nell'economia legale con l'attiva collaborazione di pezzi importanbti della societá civile: liberi professionisti, imprenditori, banchieri, funzionari pubblici e uomini politici a ogni livello ".
Per superare questo, sostiene l'ex ministro "é necessario un profondo rinnovamente del ceto politico". Belle parole.
Si potrebbe suggerire a Pisanu, settantatreenne, deputato dal 1972 ed attualmente presidente della Commissione sulla Criminalitá Organizzata , di dare le dimissioni
a mó d'apprezzabile esempio.
Ma il punto che merita vera attenzione, e qualche considerazione, é dove Pisanu sostiene che la corruzione é endemica (endemia: malattia propria d'un paese o d'un popolo ) cioé radicata, diffusa tra gl'italiani.
E' un'accusa molto pesante.
E' vero che esiste nel nostro paese una prassi di costante insofferenza alle regole; accanto ai casi di corruzione e malcostume politico emersi e a quelli ancora impuniti chi puó negare che l'italiano medio cerchi sempre di "farla franca", evadendo le tasse, eludendo i divieti, tentando scorciatoie, rincorrendo sempre la soluzione furba o la raccomandazione che l'aiutino a scalare una posizione anche a scapito del suo prossimo ?
Se questa é la "corruzione endemica" a cui si riferisce Pisanu non possiamo negare che l'accusa ha seri fondamenti di veritá.
"Corruptissima republica, multiplae leges", sentenziava Tacito: il moltiplicarsi delle leggi é sintomo della decadenza e della disobbedienza le quali, appunto, richiedono l'adozione di sempre nuovi provvedimenti per essere combattute od arginate.
La superproduzione legislativa del nostro parlamento ed il numero spropositato di leggi e decreti danno ragione all'equazione tacitiana.
Ma dobbiamo anche chiederci dove questo ricorrente atteggiamento di insofferenza se non di ribellione di fronte all'autoritá - sia essa rappresentata dal codice civile o da quello della strada o dai regolamenti comunali, dal vigile urbano come dallo spazzino, dall'insegnante come dall'ufficiale giudiziario - trovi la propria causa.
Le ragioni sono tante e, se vogliamo, piuttosto scontate: una concausa sicuramente determinante va rinvenuta in quel rivolgimento culturale che fu il sessantotto e che scatenó individualismo, ossessione della libertá e dei diritti, disconoscimento del principio d'autoritá.
All'Italia stracciona ma piena di speranza del dopoguerra era subentrata l'Italia del boom e del benessere pronta ad affrontare, dopo l'emancipazione economica - frutto degli sforzi d'una generazione cresciuta col senso del dovere, col culto del lavoro e col rispetto delle leggi, che il fascismo non la costituzione democratica aveva loro insegnato - suo malgrado anche un'emancipazione intellettuale.
Era forse il prezzo da pagare per passare dalla condizione di paese agricolo a quella di potenza industriale, dal secondo mondo al primo mondo.
Ma in molti paesi, pur ancora tutt'oggi avvelenati dal sessantottismo, sfibrati da un'immigrazione selvaggia e da uno scollamento sociale, con classi politiche asservite a lobby finanziarie e di pensiero antinazionali, nonostante tutto questo, la corruzione non é ancora dilagata e qualche oncia di rispetto per le istituzioni ancora esiste.
L'ondata d'urto del sessantotto, fuor dall'Italia, é stata spesso assorbita da anticorpi antichissimi ed efficaci in nazioni dalle spalle robuste.
La povera Italietta uscita gracile da un Risorgimento scarsamente sentito e che trovó nel fascismo una rigenerazione prima di tutto morale, uscì dal secondo dopoguerra piena di speranze ma priva di difese immunitarie, che la costituzione repubblicana, partorita anche dall'odio comunista, non poteva certo assicurarle.
Ai primi colpi di vento il giovane alberello dalle radici piantate nella terra bagnata
dal sangue di decine di migliaia di morti ammazzati vacillava; si é tante volte parlato della vittoria delle "istituzioni democratiche" contro il terrorismo. Balle, le istituzioni democratiche erano intrise di fiancheggiatori morali della sovversione brigatista, figlia legittimissima della resistenza assassina, tra i magistrati, i giornalisti, i politici, gl'intellettuali, i registi.
Norberto Bobbio, Bernardo Bertolucci, Alberto Bevilacqua, Giorgio Bocca, Pierre Carniti, Furio Colombo, Luigi Comencini, Umberto Eco, Federico Fellini, Ugo Gregoretti, Margherita Hack, Carlo Levi, Primo Levi, Nanni Loy, Paolo Mieli, Alberto Moravia, Pier Paolo Pasolini, Carlo Ripa di Meana, Eugenio Scalfari, per non citare che i piú famosi tra i nomi dei sottoscrittori dell'infame manifesto apparso nel 1970 su "l'Espresso", che indicava il commissario Calabresi quale assassino dell'anarchico Pinelli.
Non erano sciocchi fanciulli assetati d'estremismo verbale; erano giornalisti, scrittori, registi, intellettuali DEL sistema, che operavano NEL sistema democratico, addirittura tra loro v'era il Bobbio, considerato uno dei padri di questa indecente repubblica.
E le brigate rosse persero non perché avessero contro di loro uno stato forte e compatto; semplicemente non potevano vincere, la loro guerra era velleitaria e persa in partenza, sempre che di guerra contro lo Stato si trattasse davvero.
E non é bastato, evidentemente, il rimaneggiamento istituzionale della c.d. seconda repubblica dopo lo scandalo di Tangentopoli per rivedere in Italia una rigenerazione morale, se é vero che nuovi scandali stanno giornalmente emergendo.
L'Italia (anzi il suo territorio ché quella del dopoguerra non é mai nata) é ora apertamente dominata da guerre di bande, alcune legali, alcune illegali e qualcuna anche legalizzata, priva di coesione sociale, priva d'una minima idea comune e condivisa, spezzettata in circoscrizioni chiamate regioni, del tutto prive di radicamento storico, fucine di ruberie e di sperequazioni.
In questo quadro a dir poco desolante, come non definire arrogante la pretesa dello Stato-amministrazione di ottenere obbedienza, rispetto e danaro dai cittadini? Ci troviamo immersi in un fallimento generale: nella sicurezza, nella giustizia, nella sanitá, nei servizi pubblici svenduti agli amici del potere. E governati da un'oligarchia formata da una classe politica e di sottobosco politico-imprenditoriale che amministra male ma vive e prospera alle spalle di tutti.
"A rifar l'Italia bisogna disfare le sètte" predicava il Foscolo nella sua opera politica "Della servitù d'Italia"; l'Italia del dopoguerra é nata dalla vittoria di alcune sètte coalizzate; finito l'interesse comune, regolati i conti coi vinti alla maniera dei gangster, é cominciata - ed é tuttora in corso - la spartizione del potere, dei posti, delle prebende; le varie cricche dell'antifascismo prima e del post-antifascismo dopo - le prime con piú discrezione, le seconde colla cafoneria tipica dei tempi attuali - si sono fatte la casa al mare, hanno sistemato famiglia, amanti ed amici. E come i ratti si sono moltiplicati in sotto-cricche e sotto-sotto-cricche.
"Les peuples qui cessent d'estimer cessent d'obeir" scriveva Rivarol, l'intellettuale dell'antirivoluzione: i popoli che cessano di stimare (i governi) cessano d'ubbidire.
In queste condizioni, come meravigliarsi della disobbedienza, dell'insofferenza, dell'evasione fiscale ? Il "contratto sociale" che legava lo Stato ai cittadini si é rescisso per inadempimento del primo, ed allora perché i secondi dovrebbero rispettarlo ?

sabato 20 febbraio 2010

AVETE DETTO UGUAGLIANZA ?

Cintamani Puddu é una ragazza madre di 21 anni, con una figlia di quattro anni, diplomata peró precaria, in procinto d'essere sfrattata ma priva dei requisiti per ottenere un alloggio popolare.
Naturalmente é bianca e italiana e questo spiega molte cose.
Teme che il suo basso stipendio di precaria (meno di 8.000 euro all'anno) determini i servizi sociali ad intervenire per toglierle la bambina.
Ha scritto una lettera al sindaco di Roma Alemanno affinché lo Stato intervenga ad aiutarla.
Stiamo naturalmente dalla parte di questa ragazza; incinta a sedici anni, col padre in fuga e la sua famiglia ostile (tanto da metterla alla porta una volta terminata la scuola) ha deciso di tenersi la bambina, di non abortire.
Scelta difficile, contrastata da tutti coloro che la circondavano, ma eroica.
Ora lei cerca un aiuto.
E probabilmente l'avrá. La sua lettera aperta al sindaco di Roma , tenuto conto anche dell'attuale periodo pre-elettorale, smuoverá molti culi flaccidi dalle loro poltrone.
E la cosa finirá lì.
Ma la cosa non deve finire lì.
Oggi in Italia vi sono sacche di privilegio che gridano vendetta al cospetto di Dio.
A fronte di famiglie indebitate, sull'orlo della povertá, migliaia di manager di aziende pubbliche o semipubbliche percepiscono emolumenti e prebende che hanno dell'incredibile.
Sono di Bologna e ho sotto gli occhi l'esempio della Multiutility Hera.
Il suo amministratore delegato percepisce 427.000 €, il presidente della relativa holding 410.000 €.
Percepiscono cinquanta volte piú di quella ragazza che il suo misero stipendio se l'é guadagnato diplomandosi. Mentre i nababbi delle aziende partecipate dal pubblico spesso e volentieri sono beneficiati politici, occupano dei posti che i partiti riservano ai loro amici. Posti di amministratori, sindaci, spesso inutili, certamente costosi per la comunitá.
Tra le aziende pubbliche é la Rai che detiene il record della vergogna.
Leggete un pó questi emolumenti concessi dalla tivu di Stato (le cifre sono riferite ad anno) :
Roberto Benigni: 6 milioni, Fabio Fazio : 2 milioni, Simona Ventura: 1,8 milioni
Antonella Clerici: 1,5 milioni, Milly Carlucci: 1,2 milioni, Paolo Bonolis: 1 milione
Bruno Vespa: 1,187 milioni, Michele Cucuzza: 700 mila, Michele Santoro: 684 mila
Daria Bignardi: 600 mila, Lamberto Sposini: 600 mila, Massimo Giletti: 400 mila
A Ronn Moss ( il Ridge di Beautiful) è stato assegnato un cachet di 900 mila euro per le sue esibizioni danzanti nel programma "Ballando sotto le stelle"; per le stesse performance a Barbara De Rossi 240mila e a Raz Degan 570.000.
Cifre che banalizzano perfino gli stipendi dei parlamentari.
Per i quali, tuttavia, gli aumenti sono stati da un certo punto in poi, progressivamente superiori.
1977:
emolumenti netti mensili d'un parlamentare
lire 1.300.000
stipendio netto mensile medio d'un operaio
lire 250/300.000
2009:
emolumenti netti mensili d'un parlamentare
euro 12-13.000
stipendio netto mensile medio d'un operaio
euro 1.100/1.200
Da un rapporto di uno a quattro, uno a cinque si è passati ad un rapporto di uno a dieci, uno a dodici.
Quest'ultimo dato ci deve far riflettere perché rappresenta lo specchio del tempo attuale.
L'altro ieri ho parlato di democrazia ideologica per sottolineare il sempre piú pressante controllo del pensiero e dei comportamenti che gli stati europei oggi impongono . Il trattato di Lisbona ne é l'esempio: parole d'ordine come "uguaglianza" "non discriminazione" "diritti" compaiono in tutto il preambolo del trattato e nella Carta dei diritti fondamentali, vero e proprio manifesto ideologico dell'Unione Europea.
Accanto a questa "democrazia ideologica" si va sempre piú sviluppando una "democrazia oligarchica" e, si badi, non "nonostante" questa ma "grazie" a questa.
Perché? Perché l'una ha bisogno, anzi é il riflesso, dell'altra. La spoliazione delle ricchezze una volta collettive, perché affidate allo Stato (acqua, energie, credito per esempio), a favore di pochi non é forse un riflesso della spoliazione dei beni primari oggi confiscati al popolo - che si fondavano su religione, tradizione, sovranitá - ed evaporati in concetti astratti quali libertá, uguaglianza, solidarietá ?
Ed i pochi beneficiari delle ricchezze un tempo pubbliche, ossia banche, finanza, trust industriali, che hanno succhiato le ricchezze collettive, non sono forse paragonabili agli euroburocrati ed ai loro burattini che, lautamente ricompensati con stipendi ed emolumenti d'oro, stanno, pian piano, svuotando di contenuti i significati, collettivamente percepiti, di patria, fede religiosa, diritti naturali, morale ?
L'euroburocrate, e parimenti l'europlutocrate non vogliono uomini consci d'una propria appartenenza comune, che sentono chi col sangue chi col cervello un destino che accomuna lui e quelli come lui in un legame non negoziabile.
Per questo vogliono lavare il cervello con gli sbiancanti della "democrazia" e della "libertá", nozioni queste talmente vaghe da poter essere utilizzate in qualsiasi maniera.
E vogliono cambiare il sangue e lo fanno usando l'accattivante filtro della "solidarietá", dell'"uguaglianza" e della "non discriminazione"; a piccole dosi peró, così che la sostituzione avvenga senza traumi, magari sorbettandoci le danze televisive dei burattini di Stato.
Una soave "democrazia" che predica la "libertà" salvo dimenticarsene allorquando vengono messe in discussione le sue premesse ideologiche: ne sanno qualcosa parecchi patrioti europei e molti movimenti nazionalisti.
Una soave "democrazia" che predica "uguaglianza" che peró vale per i sudditi ma non per gli oligarchi i quali, sempre piú, grazie ai privilegi che si concedono, allontanano la propria condizione da quella della stragrande maggioranza della popolazione.
Queste due forme simbiotiche che la democrazia oggi assume non sono peró invincibili; dalla loro hanno il potere e la legge ma sempre meno consenso.
Sta cominciando il conto alla rovescia. Lento ed inesorabile.
Lo affermo sempre e ne sono sempre piú convinto.
No pasaran.

giovedì 18 febbraio 2010

ABBASSA LA TESTA, EUROPEO !

La democrazia euroburocratica, che trova nella Carta dei Diritti Fondamentali
dell'Unione Europea i propri riferimenti ideologici tra i quali quelli sanciti all'articolo 11, sotto il titolo "Libertà di espressione e d'informazione"( " Ogni persona ha diritto alla libertà di espressione. Tale diritto include la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera"), dimostra ancora una volta la sua ipocrisia e la sua vera essenza.
L'affare "Féret", recentemente giudicato dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ne costituisce l'ultimo esempio.
Persegui(ta)to dalla giustizia belga per "incitamento alla discriminazione razziale", Daniel Féret , fondatore e presidente del Front National belga, fu condannato nel 2006 ad una pena da scontarsi con l'esecuzione di lavori socialmente utili presso le comunitá d'immigrati e a dieci anni d'ineleggibilitá.
La sua colpa? Quella d'aver redatto e fatto distribuire volantini e manifesti che miravano a "opporsi all'islamizzazione del Belgio" a "interrompere la politica di pseudo-integrazione" a "espellere i disoccupati extraeuropei" a "riservare ai belgi e agli europei la preferenza negli aiuti sociali".
Ritenendo che tali proposizioni esprimessero una opinione tutelabile secondo tutte le convenzioni internazionali, compresa quella a cui ci siamo inizialmente riferiti e che é stata recentemente confermata dal Trattato di Lisbona, Féret s'é rivolto alla Corte di Strasburgo per chiedere la condanna dello Stato belga per violazione del diritto d'espressione.
La decisione, resa nel luglio scorso, é l'ennesima riprova della volontá suicidiaria che ha contagiato le elite europee.
Dopo aver riconosciuto l'importanza del diritto d'espressione soprattutto "nel campo del dibattito politico o di temi d'interesse generale " anche se "la libertá di discussione politica non riveste sicuramente un carattere assoluto" particolarmente nel tema dell' "intolleranza" (mi pareva ! ) , la Corte affermava che "le espressioni veicolate dai volantini erano di natura tale da suscitare tra il pubblico, e in particolare tra il pubblico meno avvertito, dei sentimenti di disprezzo, di rigetto, anzi per certuni di odio a riguardo degli stranieri".
La Corte aggiungeva che "le affermazioni, di natura politica, che incitano all'odio fondato su pregiudizi religiosi, etnici o culturali rappresentano un pericolo per la pace sociale e la stabilitá politica (sic) negli Stati democratici...la Corte non contesta che i partiti politici hanno il diritto di difendere le loro opinioni in pubblico e possono dunque suggerire delle soluzioni ai problemi legati all'immigrazione. Tuttavia, essi debbono evitare di farlo raccomandando la discriminazione razziale e ricorrendo a dei termini o tenendo atteggiamenti vessatori o umilianti, perché simili comportamenti rischiano di suscitare delle reazioni incompatibili con un clima sociale sereno e potrebbero incrinare la fiducia nelle istituzioni democratiche".
E' un linguaggio da tribunale rivoluzionario, non da suprema istanza della giurisdizione europea.
Ritenere che i cittadini, nazionali ed europei, debbano essere preferiti nell'assegnazione di aiuti sociali, affermare che l'Islam costituisce una minaccia per la nostra civiltá, sostenere che l'integrazione sia una utopia irrealizzabile sono proposizioni che superano i limiti del diritto d'espressione ("diritto non assoluto" proclamano infatti i giudici di Strasburgo) ed entrano nel novero delle affermazioni lesive del novus ordo europaeus.
La recente decisione sul Crocifisso - la cui presenza nelle aule scolastiche costituirebbe una non tollerabile ingerenza nel diritto all'educazione religiosa da parte dei genitori e del diritto di libero culto da parte degli allievi - é un'altra dimostrazione della volontá di fare tabula rasa di tutto ció che l'Europa ha rappresentato nei suoi secoli in termini di sviluppo e di civiltá cioé di DIFFERENZA rispetto ad altre realtá geografiche.
Ecco di seguito alcune affermazioni anch'esse fortemente impregnate dii "discriminazione razziale" e, inoltre, "umilianti" e "vessatorie", sufficienti a costituire motivo d'incriminazione coll'alto patrocinio della Corte di Strasburgo:
"Haiti é stato il primo paese nero a liberarsi dalle catene della schiavitù...tuttavia, lungi d'aver permesso lo sviluppo del loro paese, la libertá degli haitiani non sará servita a niente, si potrebbe dire, se non a generare dei regimi tirannici capaci solo d' impoverire il loro popolo e, al contrario, di favorire l'arricchimento dei dirigenti...La situazione d'Haiti é del tutto simile a quella della maggioranza dei paesi dell'Africa Nera, compreso evidentemente il piano razziale.
Da cui la patetica questione che tutti si pongono sottovoce ma che é in tutti presente: I negri non saranno degli incapaci?...E' sempllce: fino ad oggi, nella maggioranza dei paesi dell'Africa Nera come anche ad Haiti, gli strumenti di produzione rimangono la zappa e la vanga, gli spostamenti si fanno a piedi, il trasporto delle merci a dorso d'uomo...Se l'indipendenza é stata un'occasione storica di cui occorre assolutamente felicitarsi, occorrerebbe ora che noi avessimo il coraggio di constatare che la nostra cultura non é in grado di favorire lo sviluppo, anzi é antagonista allo sviluppo...".
Queste affermazioni provengono da un giornalista negro haitiano, Albert Kisonga Mazakala, in un articolo apparso il 16 gennaio scorso sulla rivista Libre Belgique.
Lascio a voi immaginare cosa sarebbe accaduto se simili parole fossero state pronunciate da un politico, d'estrema destra, bianco.
La democrazia , da semplice forma di governo, sta degenerando in un sistema totalizzante fondato sul controllo del pensiero e sull'imposizione di dogmi che vanno ben al di lá dell'accettazione del principio di maggioranza; questa nuova forma di democrazia, che chiamerei "ideologica", giá responsabile delle guerre totali, comincia a mostrare il suo vero volto anche all'interno dei propri confini; ma , come ogni regime che vuole imporre le proprie astrazioni ideologiche, é destinata a non durare molto perché finirá per divenire tirannica.
E quindi, miei pochi ed affezionati amici, ci crediamo e lo giuriamo:
no pasaran.

lunedì 15 febbraio 2010

EUROPA E DEMOCRAZIA

Commentatore politico del Corriere della Sera, Angelo Panebianco si domanda, in un articolo apparso pochi giorni fa, se il concetto di "occidente" abbia ancora un senso o se il mondo che rappresentava non si stia frantumando in piú mondi.
Colpa, secondo il docente di Scienze politiche, della incapacitá degli stati europei di dare vita ad un'unica politica, coerente ed unitaria, nelle grandi questioni di politica internazionale (e non solo quella) e, anche della sua volontaria subalternitá, sotto il profilo della sicurezza, alla benevolenza americana.
Colpa anche, a suo dire, dell'atteggiamento di Obama, che avrebbe poca sensibilitá nei confronti dell'Europa e che tenderebbe a "svalutare l'importanza dei regimi politici nelle relazioni internazionali ...Egli - prosegue Panebianco - é il liquidatore o l'aspirante liquidatore del wilsonismo, della visione per la quale che i paesi siano o no democrazie fa una grande differenza per i rapporti internazionali...ma é ancora da dimostrare che sia segno di realismo svalutare il ruolo delle democrazie".
E poi, il botto finale "...é peró un fatto che, dopo alcuni timidi progressi registrati all'epoca di George Bush (mamma mia ! ndr) i processi di democratizzazione oggi languono o sono in regresso in tutta l'area mediorientale " e, da ultimo, l'auspicio che l'Europa continui a mantenersi in una comunitá euro-atlantica.
Cominciamo dall'inizio: é assolutamente vero che l'Europa non ha una politica "estera" comune; ma per l'ottima ragione che non puó averla, in quanto l'Europa, come entitá geopolitica unitaria NON esiste.
Come ben dimostra Aymeric Chauprade, autore fra l'altro di "Chronique du choc des civilisations", studioso di fama internazionale, giá direttore del corso di Geopolitica del Collège Interarmées de Défense (ossia la vecchia Êcole de Guerre francese), non esiste UNO spazio geopolitico europeo ma ne esistono quattro (se non cinque), ognuno dei quali portatore di interessi strategici ben differenti.
Partiamo dal primo, che ci riguarda: perché é il cuore dell'Europa e corrisponde ai territori del primo impero dopo la romanitá: quello dei Franchi e dell'impero Carolingio che si situó negli attuali confini di Francia, Germania, Belgio e Paesi Bassi, Italia centro-settentrionale, e gran parte dei territori alpini.
E' il santuario dell'Europa che non é stata mai violata da dominazioni islamiche, asiatiche e comuniste; ed é, anche, il primo spazio territoriale della vecchia Comunitá Europea. Ai suoi margini Grecia e Spagna, in uno spazio mediterraneo.
Accanto a questo primo " superspazio" stanno, ognuno dotato d'una coerenza culturale e storica, uno spazio geopolitico balcanico, comprendente Stati (ad eccezione di Austria e Serbia) passati direttamente da una posizione di periferia dell'Impero sovietico ad una posizione di periferia americana e uno spazio baltico, comprendente la Polonia, i paesi baltici e scandinavi, retto dalla legge fondamentale per la quale nessun paese rivierasco - Svezia, Danimarca, Polonia ed anche Russia e Germania - é mai riuscito ad unificare le due sponde in uno stesso impero.
V'é poi uno spazio atlantico, comprendente Gran Bretagna e Portogallo, da cui partirono nel XVI secolo dei progetti d'impero mondiale, che hanno avuto in comune gli sforzi per bloccare ogni tentativo di costruzione europea (dal Santo Impero all'avventura napoleonica), che hanno prodotto due stati fortemente meticci (Stati Uniti e Brasile) e sono oggi due pilastri dell'atlantismo, assolutamente alieni dalla volontá di passare da una posizione centrale del blocco euroatlantico ad una posizione di periferia d'un blocco europeo.
Non v'é dubbio che l'assoluta subalternitá degli stati dello spazio balcanico (che trova spiegazione nel timore d'una ulteriore dipendenza dal vicino russo dopo cinquant'anni di schiavitú dal colosso sovietico) e di taluni dello spazio baltico (mossi dalla stessa ragione: meglio un padrone lontano che uno vicino) non puó trovare riscontro nello spazio originario europeo; dipendente dagli Usa dopo la guerra l'Italia ha avuto anche periodi di relativa autonomia negli affari esteri; la Germania ha rivendicato sempre un ruolo di neutralitá; la Francia ha sempre goduto d'una politica estera autonoma; tutte tre, pur militarmente subordinati, in misura diversa, da Washington si stanno ultimamente avvicinando alla Russia di Putin.
Secoli di storia hanno fissato la geografia/geopolitica degli stati europei; di questo sembra dimenticarsi il professor Panebianco, preoccupato com'è di paventare la possibilitá che col progressivo scollamento dagli Usa " l'Europa probabilmente scivolerebbe nell'area d'influenza della semi-autoritaria Grande Russia".
Molto meglio, per il prof, rimanere nell'area americana che, grazie all'amministrazione Bush, avvió i processi di democratizzazione.
Abbiamo sotto gli occhi i risultati di quei "processi di democratizzazione"; i guasti che hanno provocato, le guerre civili che hanno scatenato, gli odi che coveranno generazioni di arabi ed islamici contro il mondo "cristiano-occidentale", reo d'averli umiliati.
Cosa ci dovrebbe legare alla politica estera americana? Il concetto di democrazia, merce d'esportazione.
Ma, cari amici e pochi pazienti lettori, non dobbiamo scordarci che tutte le guerre ideologiche, comprese quelle combattute per sostenere e diffondere verbi egualitaristi e financo democratici, hanno portato sangue , distruzione ed annientamenti, frutto di guerre TOTALI.
Nel 1648 il trattato di Westfalia, dopo i disastri delle guerre di religione e della guerra dei Trent'anni, pose le basi del Ius Publicum Europaeum, in forza del quale ogni Stato, ogni Impero riconosceva le buone ragioni del nemico e, anche nel momento della sua sconfitta militare, non lo trattava da criminale, non lo condannava all'annientamento; e poneva le basi perché divenisse un suo alleato di domani.
Allo stesso modo d'una tenzone fra cavalieri animati da reciproco rispetto.
Per duecentosettant'anni - coll'eccezione delle guerre ideologiche scatenate dalla rivoluzione francese che pretendeva il monopolio della giusta causa e incitava all'odio contro il nemico - l'Europa ha evitato guerre generalizzate.
Che si sono riscatenate colla contrapposizione fra stati democratici ed imperi autoritari nella prima guerra mondiale e fra una coalizione democratico-comunista contrapposta ad una coalizione nazionalista nella seconda.
L'ideologizzazione della politica estera ha visto, recentemente gli Stati Uniti arrogarsi il monopolio della libertá (enduring freedom) , assumersi difensore del bene assoluto, contro i regimi oscurantisti, fascisti, autoritari del medio oriente.
Allo stesso modo con cui il comunismo ha cercato, ponendosi come il liberatore dei popoli oppressi, di imporre la propria mortifera ideologia in tutti gli angoli della terra.
Neppure il nazionalsocialismo ebbe mai la pretesa d'imporsi come portatore d'un generale messaggio salvifico; il disegno hitleriano mirava all' occupazione dello spazio geopolitico tedesco, magari imponendo il proprio ordine in quei territori; ma a nessuno dei capi nazionalsocialisti venne mai l'idea di voler imporre la propria ideologia in Inghilterra, Francia, Spagna, Grecia etc etc. Nella loro testa c'era il disegno d'una europa germanocentrica, non nazionalsocialista.
Men che meno gli altri regimi fascisti o nazionalisti.
Comunismo e democrazia, figli del giacobinismo rivoluzionario, hanno abbattuto manu militari un ordine europeo ch'era politico e non ideologico ed hanno tolto l'Europa dalla Storia.
Ma quanto durerá ancora tutto questo ? Scenari interessanti si stanno aprendo.
Proprio quelli che il prof.Panebianco teme.

il buio

IL BUIO

In quegli occhi non entra piú la luce del sole,
si sono spenti per sempre
Chissá dove sei adesso che il tempo si é fermato per te
noi lo stiamo ancora rincorrendo
in attesa che anche per noi esso divenga
un eterno presente un eterno passato un eterno futuro
Adesso il tuo dolore l'hai donato al mondo
insieme con tutti quelli che hanno sofferto come te, prima di te
che hanno chiuso gli occhi per sempre
espiando le nostre colpe
Presunzione aviditá usura indifferenza invidia
siete tutte figlie dello stesso padre demonio
e della stessa madre menzogna
genitori di questa terra che gira intorno a sé stessa
ed assomiglia all'uomo che gira intorno a sé stesso
e non alza gli occhi al cielo
perché ha perso la ragione dell'infinito e dello spazio
dove invece ci sei tu adesso sorella mia

giovedì 11 febbraio 2010

IL GIORNO DEL RICORDO

Il comunista presidente della repubblichetta italianicchia Napolitano ha chiesto, nella "Giornata del Ricordo", che il dramma degl'istriani e dei giuliano dalmati sia "acquisito come patrimonio comune nelle nuove (?) Slovenia e Croazia che con l'Italia s'incontrano nell'Unione Europea".
E' la solita filastrocca della memoria condivisa, buona per gli allocchi.
Slovenia e Croazia dovrebbero quindi fare un "mea culpa" e piangere con noi le vittime italiane della furia slavo-comunista?
C'é da dubitare che, spontaneamente, lo faranno, le "nuove" Slovenia e Croazia.
Ma quel che piú fa irritare é il solito ritornello, quello della "memoria condivisa" : la piú nauseante, ipocrita, farisaica messa in scena che sia stata inventata da vent'anni a questa parte.
Quella che ci viene ammannita ad ogni anniversario della "liberazione" che, si cinguetta da destra e manca, dovrebbe essere vissuta da tutti gl'italiani come "storia condivisa".
Un par di palle.
Non c'è proprio nulla da condividere con chi, dopo la fine della guerra, ha dato la caccia ai vinti, e colla scusa dell'antifascismo s'é costruito carriere professionali, politiche, giornalistiche, universitarie; con chi, col pretesto dell'arco costituzionale, s'é arricchito e s'é fatto la casa al mare.
Non c'é proprio nulla da condividere, nè cogli antifascisti di ieri nè, tantomeno, coi neoantifascisti di oggi; coloro che, per farsi perdonare i peccatucci di gioventú, hanno scaracciato sul piatto dove hanno mangiato.
Ma non perché in me ristagni odio e volontá revanscistica "neofascista". Credetemi, non c'é n'é piú neppure una stilla chè il mio odio l'ho giá ampiamente trasudato da un pezzo.
La questione é un'altra; nel loro approccio totalizzante liberal-progressista lorsignori credono di poter ridurre la memoria d'ognuno ad una marmellata plasmabile, quasi come fosse un mac-burger; credono che la coscienza - di chi ce l'ha veramente - sia corruttibile, evidentemente perché loro la coscienza, non avendola, non sanno cosa sia.
E s'illudono di poter trovare un minimo comun denominatore che metta a posto tutti e sistemi le cicatrici non ancora rimarginate del dopo-guerra allo stesso modo in cui si sistema, magari con un bell'accomodamento transattivo, una pratica dell'inps in tribunale.
Sbagliato bellezze.
E sapete perché ? Perché LA STORIA NON ESISTE. Esistono LE STORIE : le storie dei tedeschi, degl'inglesi, dei russi, degli americani, dei fascisti e anche dei partigiani, d'ogni singolo soldato, intendetemi, (attenzione ho detto soldato, non bandito), ciascuno portatore della sua verità, della sua dignitá, delle sue tragedie, dei suoi sogni; irriducibili ad un'entitá condivisibile.
Ed allora ognuno celebri - senza offendere le commemorazioni e i dolori altrui - i propri morti, le proprie storie nel rispetto di chi, anche su barrricate diverse, ha combattuto e pagato col proprio sangue.
Loro, anche i nemici dei Miei, se han veramente rischiato la pelle, son disposto a rispettarli; peró non a concelebrarli, a partecipare con i Loro a comuni cerimonie, sia chiaro.
Evitiamo di cantare, come in un coro di checche patetiche, una filastrocca che non esiste.
Ed è con questo spirito che bisogna leggere e meditare le dichiarazioni dell'ex comunista pentito ma non troppo Napolitano, per non lasciarsi fuorviare dalle parole di circostanza.
La Slovenia e la Croazia non vogliono porgere delle scuse, assumersi delle responsabilitá, accordare delle riparazioni? Non le biasimo, ognuno persegue i propri interessi.
La colpa non é la loro ma é nostra, della nostra classe politica di vili e insipienti.
Quando la Slovenia chiese - e di poi ottenne - l'adesione all'Unione Europea perché la nostra classe politica non pretese, quale condizione per il suo ingresso, una forma di indennizzo per i nostri esuli? Gli assassinii e le violenze non potevano piú essere risarciti, ma l'espropriazioni che gl'italiani avevano subito, costretti a fuggire dal timore d'essere sterminati, quelle si.
Ma l'italietta badogliana e verminosa non aveva il fegato di farlo perché richiederlo avrebbe potuto apparire come una forma di "revisionismo", fardello politicamente insopportabile per gl' "ini" di turno (da Frattini a Fini succedutisi alla Farnesina in quel 2004).
Resta la Croazia, in procinto d'aderire all'Unione.
L'italietta ha un'ultima occasione per esprimere un sussulto di dignitá internazionale e diventare, lei, "nuova"; voglio illudermi: pretendere, quale condizione del proprio assenso all'ingresso dello stato slavo - assenso indispensabile poiché le nuove adesioni debbono essere accettate all'unanimitá - il risarcimento alle famiglie derubate dei propri beni dopo l'esodo.
Pensate che non sia possibile ? Tutto il contrario.
Basterebbe a tempo debito, cioé da ora, farsi garantire dal governo di Zagabria che dalla sua accettazione - indispensabile - dei principî propri dello stato di diritto deriva anche la conseguente accettazione dell'obbligazione risarcitoria verso gl'italiani espropriati, per porre riparo ad una situazione d'oggettiva ingiustizia, contraria alle regole fondamentali d'uno stato di diritto.
La diplomazia e la politica a questo servono.
Solo così la "Giornata del ricordo", oggi misero palliativo per riparare mezzo secolo di vigliaccherie, potrá divenire un'occasione di riscatto. Non solo per i giuliano dalmati traditi dall'italietta badogliana ma per tutti gl'Italiani veri.

martedì 9 febbraio 2010

"BOIA CHI MOLA "

"Mona chi ghe crede, boia chi mola".
Questa la risposta, ironica ed impudente d'un anonimo bersagliere veneto del I^ battaglione volontari, poi chiamato "Mussolini", alla lettura da parte degli ufficiali dei comunicati incoraggianti emessi dagli alti comandi.
"Fesso chi ci crede ma boia chi molla"
Loro, quei bersaglieri, quei maró, quegli alpini, quei carabinieri, quei legionari, quelle Camicie Nere, quei militi della Confinaria e della Guardia di Finanza avevano perfettamente capito che non avrebbero potuto resistere tanto tempo alla pressione slava che premeva sui confini orientali d'una patria ormai perduta.
Sapevano che gli "alleati" tedeschi, resi furiosi dal voltafaccia badogliano, ormai consideravano quelle terre - a cui avevano imposto un'amministrazione chiamata "Supremo Commissariato per la zona di operazioni del Litorale Adriatico" da loro presieduta - una merce di scambio, pronta ad essere barattata per assicurarsi la lealtá dei loro alleati slavi.
Cosicché i nostri soldati non solo dovevano affrontare un nemico crudele che non faceva prigionieri ed era temibile per la sua efferatezza ma dovevano guardarsi le spalle da pretesi alleati pronti a sabotarti.
Le cose vanno dette senza reticenze.
Il tedesco, eroico nella resistenza contro gli alleati angloamericani e nell'urto contro le orde sovietiche, spesso si comportó male con noi, in quelle terre di confine che separavano la civiltá dalla barbarie.
* * *
Quando le stazioni radio diffusero l'8 settembre il comunicato dell'EIAR che annunciava la fine della guerra a Trieste nessuno si fece illusioni perché lì sapevano che i problemi affrontati fino ad allora, razionamenti, bombardamenti, angoscia di madri e spose, si sarebbero moltiplicati.
E così fu: da un lato Ante Pavelic, appoggiato dalla Germania dichiarava guerra all'Italia rivendicando alla Croazia tutti i territori della costa adriatica, dalmata, Zara inclusa; dall'altro, contemporaneamente, i partigiani titini, appoggiati dai comunisti italiani, occupavano l'Istria proclamandone l'annessione alla Jugoslavia.
Le truppe italiane, diversamente da quelle tedesche, erano state colte di sorpresa dall'annuncio dell'armistizio, e il loro sbandamento favorì l'occupazione di Gorizia da parte delle bande titine, spalleggiate dai partigiani italiani.
Furono tre giorni di saccheggi, di violenze e di terrore, preludio a quanto sarebbe accaduto dopo la fine della guerra.
L'11 settembre cadeva anche Spalato e per diciassette giorni le bande comuniste ebbero mano libera; i tribunali popolari che condannavano a morte gl'italiani erano presieduti da un ex barbiere spalatino di nome Janos Papo, divenuto commissario del popolo; questo individuo dettava personalmente l'elenco degli italiani da sopprimere; li dettava perché era analfabeta.
Tutta l'Istria e la Dalmazia, fatte salve Zara, Pola e Fiume, subirono in quel dopo armistizio la barbarie slavo-comunista.
* * *
Nell' ottobre del '43 i primi reparti inquadrati nella RSI che giunsero a Gorizia furono i volontari bersaglieri del I^ battaglione; essi tennero un fronte di venticinque chilometri fino alla fine della guerra; addirittura alla fine di maggio del 1945 erano ancora attivi presidi di soldati che continuavano a combattere.
Erano operai, impiegati, borghesi, liceali, accolti in tutte le cittá giuliano dalmate come difensori della patria.
Fino alla fine delle ostilitá migliaia di soldati persero la vita, in combattimento ma soprattutto in agguati e solo il collasso della Repubblica Sociale permise alle bande di Tito di impossessarsi delle cittá italiane; il primo maggio del 1945 i primi reparti delle truppe slave entrarono a Trieste.
Quel giorno Togliatti, ministro del governo provvisorio, da Roma invió ai triestini il seguente messaggio: "Nel momento in cui giunge notizia che le truppe di Tito sono entrate nella vostra cittá inviamo a voi lavoratori il nostro fraterno saluto. Il vostro dovere é di accogliere le truppe di Tito come liberatrici e di collaborare con esse nel modo piú stretto".
In ogni cittá occupata dagli slavo-comunisti iniziarono a funzionare i tribunali del popolo: eccidi, deportazioni, infoibamenti.
Interi libri sono stati scritti per ricordare gli orrori che i nostri soldati ma anche i civili, le donne, i vecchi e i bambini subirono da quella marmaglia senza umanitá.
Nessuno a Roma, anche negli anni successivi alla guerra, si preoccupo´dei nostri prigionieri: Per il governo non erano italiani degni d'attenzione.
Soltanto nel 1947 gli slavi si determinarono a rimpatriare quei pochi prigionieri ch'erano sopravvissuti all'inferno dei campi di detenzione.
* * *
La prima autoritá della repubblichetta italiana che si degnó di visitare ufficialmente la foiba di Basovizza fu l'allora presidente Francesco Cossiga, nel 1991; ma fu la generositá dell'uomo o il calcolo politico ? Difficile sbagliarsi.
Mai come in quegli anni i comunisti o ex-comunisti pidiessizzati erano giunti al punto piú alto della loro lontananza dal potere che neppure piú arrivavano ad annusare, chiusi dall'asse pentapartitico e resi orfani dalla dissoluzione dell'impero sovietico.
Fu dunque la situazione di debolezza dell'ex pci a favorire quel gesto; lo smembramento dell'ex Jugoslava fece il resto.
La riprova?
Là dove non s'è ancora incrinata la forza di potere del sistema comunista o post-comunista, che ha generato favoritismi ed omertá, tante figlie, tante sorelle e tante mogli ancora oggi, dopo sessantacinque anni, non sanno dove riposano i resti dei loro padri, dei loro fratelli, dei loro mariti, in quelle terre maledette della bassa bolognese che videro dopo il quarantacinque scatenarsi la furia delle iene e degli sciacalli, degni emuli dei loro compagni titini, dopo che i leoni erano stati abbattuti.
Perché é bene ricordare che fin quando c'erano i leoni iene e sciacalli stavano rintanati.
Finito anche il tempo delle iene e degli sciacalli giungeva l'ora degli avvoltoi: quelli che consideravano gl'infoibamenti, le deportazioni e le violenze contro i giuliano dalmati una reazione slava all'occupazione italiana.
Poi qualcuno, dall'alto della sua sicumera, colla puzzetta sotto il naso e la kippah in testa dichiarava che quello della Repubblica Sociale era stato il periodo piú scuro della storia italiana, e così sputava sulle tombe e sulle ossa insepolte di chi aveva difeso col sangue lembi della nostra terra, mostrando alle iene e agli sciacalli che finché c'erano loro di là non si passava.
Era arrivata l'ora dei vermi.

domenica 7 febbraio 2010

MA IN CHE MANI SIAMO ?

Dopo aver partecipato al convegno intitolato ''Crescere senza Violenza. Politiche, strategie e metodi'' nel corso del quale é stato presentato il rapporto della o.n.g. "Save the children" dove emerge che un quarto degli italiani utilizza punizioni corporali nell'educazione dei figli, il ministro per le Pari Opportunitá Mara Carfagna dopo aver espresso l'importanza di indagare sui metodi educativi utilizzati dai genitori, ha aggiunto - testualmente - che ''Compito delle istituzioni e di chi, come i media e la pubblicita', arriva in tutte le case e' quello di promuovere un modello di famiglia basato sul dialogo, l'ascolto e la comprensione reciproca, che condanni in maniera ferma ogni forma di violenza''.
In Europa, le punizioni corporali sono giá state vietate in Svezia, Norvegia, Finlandia, Austria, Cipro, Danimarca, Lettonia, Bulgaria, Ungheria, Germania, Romania, Grecia e, dal 2007, anche nei Paesi Bassi, in Portogallo e Spagna.
L'offensiva sta pian piano prendendo piede anche in Italia: col pretesto di tutelare i diritti inalienabili dei minori, essa vuole in qualche modo determinare i genitori alla scelta d'un modello educativo che metta all'indice l'utilizzo della "violenza".
E qui sta un primo punto da chiarire, che coinvolge l'uso del linguaggio quale strumento di dis-informazione, di dis-educazione e, quindi, di lotta politica.
"Violenza" , secondo il Devoto-Oli è una "forza impetuosa e incontrollata"; vis olentus, appunto, una forza sovrabbondante, eccessiva, smisurata.
Oggi, la dittatura mediatico-informativa utilizza quella parola tutte le volte in cui intende stigmatizzare un fatto, di qualunque portata esso sia; ecco allora che un'opposizione, una protesta o anche una ferma presa di posizione in qualsivoglia questione divengono "violente" sol che le si vogliano rendere biasimevoli agli occhi di tutti.
L'accusa di violenza, verbale o fisica, non é piú il risultato d'una valutazione sulla congruitá dei mezzi utilizzati rispetto alle circostanze in cui la forza - che altro non é se non una manifestazione di vitalitá. espressa o verbalmente o col vigore fisico - viene dispiegata e della resistenza che essa deve vincere ma é l'effetto d'un semplice calcolo politico teso a suggestionare, erede del metodo dialettico leninista per cui tutto ció che va nella direzione opposta alla rivoluzione bolscevica, fosse anche una veritá, deve scomparire o soccombere poiché falso.
In poche parole un sapiente utilizzo della menzogna per un lavaggio del cervello collettivo.
Dunque anche nel tema dei rapporti educativi si usa, a bella posta, la parola violenza perché si vuole arrivare direttamente al risultato, senza alcuna riflessione intermedia, sfruttando l'effetto semantico, perché si ritiene - per pregiudizio ideologico - che la punizione corporale, di per sé sia sbagliata, indipendentemente dalle circostanze in cui essa è adottata.
E' in questo scenario ideologico che dobbiamo muoverci per commentare, noi sì senza pregiudizi di sorta, questa nuova manifestazione di - pericolosa - stupiditá raccolta da miss Palazzo Chigi.
Che condanna - appunto - ogni forma di "violenza" che si sviluppi nell'ambito familiare.
Nessuno - men che meno il vostro umile importuno - vuole difendere la violenza, anche quando si manifesta dentro le mura di casa ma "Save the children" non intende limitarsi a combattere la violenza bensì intende proibire le "punizioni corporali" .
Ecco l'equazione: ogni punizione corporale equivale ad una violenza, dunque a qualcosa di male in sè. Conseguentemente ogni punizione corporale é per ció stesso eccessiva, qualunque sia il fine che si prefigge, qualunque sia la resistenza da vincere.
Non si tratta di un'iniziativa volta a eliminare forme marginali di brutalitá ma di una vera e propria rivoluzione copernicana, ossia eliminare l'idea che un genitore possa, certamente in casi estremi, sculacciare o allungare una sberla al figlio ma, soprattutto, eliminare nel bambino l'idea che un padre possa applicargli sanzioni sgradite.
Ció che comporta, come inevitabile corollario, che anche la sola minaccia di punizione corporale debba essere bandita dal novero degli strumenti educativi.
Portando il ragionamento al paradosso dovremo aspettarci un manuale dei comportamenti ad uso dei genitori, un libretto d'istruzioni sulle punizioni-tipo da infliggere ai figli riottosi o, magari, verrá imposto in ogni abitazione un misuratore di decibel che segnali il superamento del limite massimo di volume della sgridata, con immediata segnalazione del caso a "telefono azzurro" ?
E quali decisioni dovrebbe adottare il genitore se il figlio rifiutasse le regole stabilite dall'autoritá paterna o le punizioni "non corporali" suggerite da questi neo-educatori da strapazzo ?
Organizzare una tavola rotonda? Mettere la proposta punitiva ai voti ?
Questo grottesco dibattito non si sta sviluppando soltanto in Italia ma, proprio poche settimane addietro, anche presso la nostra sorella d'oltralpe; una deputata francese dell'UMP (centrodestra), Edwige Antier, pediatra, ha depositato al parlamento francese una proposta di legge volta a proibire l'uso delle punizioni corporali.
"La violenza fatta al fanciullo lo rende a sua volta violento" ergo, sostiene la deputata, occorre "codificare questa proibizione nel diritto di famiglia".
Quella italiana e quella francese non sono altro che espressioni di quella nuova dittatura che si chiama euroburocrazia la quale intende applicare con scientifica tenacia le astrazioni ideologiche proclamate nella carta dei diritti dell'uomo e, da ultimo, nella carta fondamentale dei diritti dell'Unione Europea, sostanzialmente confermata dal trattato di Lisbona; per quel che qui occupa merita rilievo la disposizione contenuta nell'articolo 24, della carta fondamentale che sancisce - oltre astratte dichiarazioni di tutela del minore, anche - udite udite - il principio della "democrazia familiare", così indicato: " I bambini possono esprimere liberamente la loro opinione".
E' ben lungi dal pensiero di chi scrive - e sicuramente di tutti i miei ventidue lettori - ritenere ingiusto ed impraticabile il dialogo tra i genitori ed i figli ma l'idea che una simile ovvietá debba essere codificata appare come il chiaro segnale di una sempre maggiore volontá intrusiva del nascente super Stato demo-burocratico nelle vite private della famiglia il cui buon funzionamento, non di rado, dipende proprio da scelte e decisioni che di democratico hanno assai poco.
Ma alla stupiditá di chi raccoglie questi messaggi - non meno colpevole di chi in mala fede, incatenato ai propri pregiudizi dogmatici, li elabora - si aggiunge l'ipocrisia.
Invece di preoccuparsi di una violenza che non esiste - se non in casi del tutto marginali - il nostro governo e tutta la classe politica dovrebbero cominciare a chiedersi quali influssi negativi i minori ricevono dalla televisione, dai programmi diffusi via internet (che oggi sono visibili da piú dell'ottanta per cento delle famiglie italiane), dall'abuso dei mezzi di comunicazione.
Ma questi strumenti non si toccano perché fanno parte del business.
E i ceffoni invece no.

giovedì 4 febbraio 2010

SOLO COLPA DEI GENITORI ?

La notizia: alcuni genitori sono stati condannati a risarcire una minorenne che subí anni orsono ripetute violenze carnali da parte dei loro figli, pur essi minorenni all'epoca dei fatti; i genitori, secondo la sentenza emessa dal tribunale civile di Milano, non avrebbero vigilato a sufficienza ma, soprattutto, non avrebbero dato ai propri figli una "educazione dei sentimenti e delle emozioni" nel rapporto colle ragazze e avrebbero omesso di fornire quelle "indicazioni che forniscono ai figli gli strumenti indispensabili da utilizzare nelle relazioni, anche di sentimento e di sesso, con l'altra e con l'altro ... Ed in particolare - prosegue il Tribunale - trattandosi di figli preadolescenti o adolescenti, non é stata dedicata cura particolare, tanto piú doverosa in presenza di opposti segnali provenienti da una diffusa cultura di mercificazione dei corpi, a verificare che il processo di crescita avvenisse nel segno di rispetto del corpo dell'altra".
V'é un punto da sottolineare che il tribunale ha colto e che merita approfondimento: il dovere dei genitori d'educare e di far crescere i propri figli é oggi piú pressante che mai data la nefasta influenza d'una "diffusa cultura" intrisa di segnali diseducativi.
Chi scrive é poco convinto della piega che, non da oggi, ha preso una certa prassi in materia di risarcimenti, spesso concessi solo sulla considerazione del danno subito piuttosto che su una rigorosa ricerca del nesso causale tra il fatto e la condotta di colui che si assume esserne il responsabile.
Non conosco la vicenda che ha dato causa alla sentenza milanese ma anche qui, a leggere gli stralci di motivazione pubblicati dai giornali, si percepisce che si é proceduto sulla base d'un sillogismo piuttosto traballante, del tipo : i minorenni hanno compiuto un atto sbagliato ergo i genitori non li hanno educati ad evitare il compimento di quegli atti sbagliati, il che puó essere anche vero ma non é necessariamente vero o quantomeno non esaurisce tutta la veritá.
E' giusto precisare che in materia di danni causati dal minore vige il principio, codificato, per cui spetta ai genitori, che vogliono essere assolti dall'obbligo di risarcire i danni causati dal figlio, dimostrare ch'essi gli hanno impartito un'adeguata educazione.
Il che certo sposta l'asse del problema più a valle ma non basta a soddisfare quella vera esigenza di giustizia di chi non s'accontenta delle presunzioni legali e delle formule stereotipate.
Il punto é: cosa significa dare adeguata educazione ai figli ? La risposta puó essere spaventosamente difficile o anche d'una disarmante semplicitá: insegnar loro cosa é giusto e cosa é sbagliato e prevedere anche giuste punizioni allorché si comportino in maniera diversa da quello ch'è stato loro indicato.
Ma, mi chiedo, basta tutto questo? E questa mia domanda si riallaccia a quello che la stessa sentenza milanese riconosce, ossia la presenza d'una negativa influenza ambientale individuata in una cultura di mercificazione dei corpi; ma, aggiungiamo noi, non si tratta solo di questo: esiste anche una "cultura" di instupidimento e di lavaggio dei cervelli; di stimolo al piacere e al risultato senza sforzi; un culto della bruttezza e del disordine; una campagna ininterrotta d'istigazione al consumo e allo spreco.
Dunque il discorso si fa piú ampio e l'esempio di Milano puó ben estendersi anche a tanti casi di devianza minorile, di violenza, di reati contro il patrimonio, di condotte di teppismo e di vandalismo, di assunzione di stupefacenti e così via.
Anche in questi casi ci si chiede - legalmente e sociologicamente - se l'educazione che i genitori hanno impartito ai figli é stata o no adeguata.
Limitando il proprio sguardo al risultato, si dovrebbe giocoforza, in questo come in tutti i casi, rispondere di no, ricadendo peró nel non proprio convincente sillogismo da cui prima siamo partiti.
Ma un'onesta ricerca della veritá ci deve indurre a valutare tutto il percorso e capire se gli stimoli al male derivano solo da un'insufficiente educazione famigliare, da uno scarso controllo o piuttosto - o anche - da quella diffusa "cultura" la cui influenza il tribunale milanese evidentemente sottovaluta se ritiene che l'educazione sia in grado d' annullarne gli effetti deteriori.
E' questo, dunque, il punto cruciale.
Esiste oggi la possibilitá per i genitori di contrastare con sufficiente efficacia, colla loro autoritá e il loro controllo, le influenze negative che i figli subiscono dal semplice contatto coll'ambiente circostante ?
C'è da dubitarne.
Oggi, si rincorrono sui giornali, in rete, nella televisione continui, incessanti messaggi che inneggiano alla stupiditá, alla fatuitá, alla ricerca del divertimento, del guadagno facile e fortunoso; al successo nelle attivitá trendy e ben pubblicizzate: balletto, spettacolo, canzonettistica; alla libertá assoluta, all'appagamento d'ogni proprio desiderio; da nessuna parte - dicasi nessuna e se esistono essi sono stratosfericamente minoritari - é dato oggi rinvenire messaggi che inducano lo stimolo del dovere piuttosto che quello del piacere.
Gutta cavat lapidem, sentenziavano gli antichi - che avevano giá detto tutto mentre noi ci affanniamo a cercare chissà quali novitá e ci scordiamo che greci e romani avevano giá inventato quel che c'era da inventare e capire quel che c'era da capire - la goccia scava la roccia, e a furia di assorbire tanti soavi e dolci veleni, tante piccole dosi di indifferenza al bene, al giusto e al bello, anche nel ragazzo piú educato del mondo puó aver germinato un minuscolo detonatore capace di esplodere senza preavviso.
Morale ?
Sperare che a noi genitori vada fatta bene e cominciare a pensare seriamente che nelle, ahinoi, centinaia di casi, uguali a quello che é apparso nelle cronache odierne, esistono ben precise responsabilitá - non solo sociologiche ma anche giuridiche - degli avvelenatori dell'anima e della mente dei nostri figli e dei nostri fratelli minori.
I tempi sono cambiati: siamo in un altro mondo rispetto a quando i ragazzi giocavano tutti nel cortile o si ritrovavano nelle parrocchie.
I cortili sono spariti, sostituiti da casermoni senz'anima e senza spazi; le parrocchie si sono svuotate grazie ai preti post conciliari che hanno smesso di predicare la differenza tra il bene e il male.
Altri tempi quando le madri rimanevano a curare gli affari familiari e potevano controllare i loro figli che, male che andasse, ritornavano a casa con un ginocchio sbucciato; mentre oggi i danni che procura loro la tv e la comunicazione sono infinitamente piú profondi, perché il ruolo della madre é stato assunto da uno schermo piatto ed abissale.
I tempi sono dunque cambiati e anche la divisione delle responsabilitá giudiziali deve tener conto della realtà.
Fossi stato uno di quei genitori avrei chiamato in giudizio - se non altro per cominciare a sollevare il problema - anche i network e tutte le compagnie presenti in internet che in questi anni hanno fatto passare migliaia di messaggi pseudoerotici o di provocazione erotica, certamente - dal punto di vista sociale ma, vivaddio, a questo punto anche giuridico, data anche la loro enorme diffusione - responsabili dell'abbassamento, se non dell'abbattimento, dei limiti di ció che si puó chiamare un normale atteggiamento sessuale.
Non sono state forse pronunciate sentenze di condanna di aziende produttrici di sigarette per i danni da fumo provocati ai consumatori ?
Non puó valere lo stesso principio per le aziende produttrici o distributrici di programmi e visioni piú o meno apertamente incitanti all'atto sessuale, certamente capaci di istigare pulsioni deviate ?
La stessa magistratura cominci a prendere atto di questa mutata situazione sociale ma faccia anche un bel mea culpa.
Perché una bella dose di responsabilità, nell'odierno scollamento famigliare, ce l'ha pure lei a cominciare - un esempio per tutti - da quei giudici della Corte di Cassazione che, in una sentenza emessa pochi anni orsono, confermarono la condanna penale d'un padre che, per punire una figlia che aveva sottratto un ciondolo alla sorella e aveva di ció incolpato falsamente il fratello, l'aveva costretta a scrivere piú volte sul proprio quaderno "io sono una ladra e non devo rubare"; ció di cui s'era accorta la sua maestra che aveva denunciato il padre per "abuso dei mezzi di disciplina". Nientedimeno !
Voi sareste stati dalla parte del padre o da quella dei giudici e della maestra?
Io dalla parte di quel genitore, scaricato dalle istituzioni.
Certamente non era un liberale.
Ma allora crepi il pensiero liberale !

mercoledì 3 febbraio 2010

IRAN: POCO CHIASSO QUANDO NON IMPICCANO I DEMOCRATICI

Non so se avete notato una certa discrezione nei media nell'annunciare in questi giorni l'esecuzione di alcuni oppositori del regime iraniano.
Oggi, sul Corriere il titolo d'un servizio sull'Iran é dedicato al leader dell'opposizione "democratica" - Mousavi: la rivoluzione islamica ha fallito - e solo nel sottotitolo si apprende che il regime ha annunciato ed eseguito nuove impiccagioni.
Discrezione che appare strana sol che si pensi allo spazio solitamente dato dalla stampa alle esecuzioni di pene capitali motivate da ragioni politiche, che solitamente sollevano giusti cori d'indignazione e di protesta.
Ma un simile tiepido atteggiamento trova forse una spiegazione nel fatto che i manifestanti non appartengono alla linea "democratica" capeggiata da Mousavi ma ad una cellula dell' Anjoman-Padeshahi-e Iran (Organizzazione Monarchista dell'Iran), un movimento nazionalista ed antimusulmano.
Occorre risalire agli anni venti per ritrovare la presenza d'una corrente nazionalista, ispirata al modello di Ataturk, che invoca la nascita d'uno Stato laico e modernizzato; al suo interno si sviluppò un movimento che rivendicava il passato ariano della Persia e voleva ridare voce alla religione zoroastriana, fortemente perseguitata dall'Islam iraniano.
Essi furono in seguito i piú fedeli sostenitori dello Sciá Reza Pahlavi, poi costretto ad abdicare a favore del figlio in seguito all'invasione anglo-sovietica messa in atto per evitare l'alleanza della Persia con l'Asse e, poiché favorevoli alla Germania, si raggrupparono nella Lega Ariana creando una organizzazione armata di resistenza chiamata "I Vendicatori" che portó a termine numerose azioni contro le truppe alleate.
Tra i piú attivi militanti della Lega Ariana si distinse Hossein Manoochehri, un militare formatosi in Francia, imprigionato dagli alleati per il suo filogermanesimo.
Arrivato ai piú alti gradi della carriera militare - divenne capo di Stato Maggiore dell'armata imperiale - Bahram Ariana (questo il nome che scelse d'adottare, evidentemente privo di connotazioni musulmane e fortemente arianizzato) non abbandonó le sue idee di gioventú; sostenne pubblicamente le rivendicazioni della Lega Ariana per la sostituzione del Corano collo Shahnameh Ferdosi (un libro mitologico che racconta la storia della Persia fino alla sua conquista da parte degli arabi) come libro santo degli iraniani e per l'adozione dell'alfabeto latino al posto di quello arabo.
Esiliato dallo Sciá nel 1971, creó, dopo l'avvento della rivoluzione khomeinista, un gruppo di resistenza chiamato Armata degli Uomini Liberi.
Morto nel 1986 a Parigi gli successe alla guida del movimento Fathollah Manoochehri, che utilizzava lo pseudonimo di Frood Fouladvand, un cineasta che dovette peró fuggire dal rivolgimento del 1979 e che si rifugió poi a Londra dove creó l'Organizzazione Monarchista dell'Iran.
Mantenne fede alla linea della Lega Ariana e alla dottrina del suo predecessore e per questo fu tenuto a distanza dai gruppi filomonarchici democratici e di sinistra delle comunitá iraniane rifugiatesi in Gran Bretagna.
Nell'ottobre del 2007 Frood Fouladvand trovó la morte tentando di attraversare clandestinamente la frontiera fra Turchia ed Iran per raggiungere i propri compagni.
L'Organizzazione monarchista non ha abbandonato la lotta e i recenti arresti costituiscono la prova del suo attivismo.
Il basso profilo che i media hanno riservato a queste esecuzioni la dice lunga sulla buona fede ed obbiettivitá dell'odierna classe dei giornalisti.
Certe morti non emozionano piú queste belle anime, anzi le imbarazzano.
E io, vostro modesto cronista, sono qui per ricordare anche loro: Mohammad-Reza Ali-Zamani (37 anni), Arash Rahmanipour (20 anni).

lunedì 1 febbraio 2010

RIFLESSIONI SUL MARTINI-PENSIERO

Leggo a pagina 13 del Corriere della Sera di domenica 31 gennaio, nella rubrica "lettere al cardinal Martini" un'affermazione, uscita dalla bocca dell'alto prelato, che lascia di stucco.
Richiesto di fornire la propria idea, e l'eventuale soluzione, all'attuale crisi di vocazioni, allo svuotamento delle chiese, alla crescita del numero di bimbi non battezzati, alla diminuzione della frequentazione del catechismo e del calo dei matrimoni religiosi, il cardinal Martini risponde testualmente "Quelli che vengono in chiesa oggi (anche se sono una minoranza) lo fanno con molta piú convinzione e scelta di quanto non venisse nel passato, quando il rispetto per la tradizione e la paura di essere diversi potevano favorire l'ipocrisia e una conformitá puramente esteriore".
C'é da rimanere allibiti.
Dunque i nostri padri, i nostri nonni, le nostre antiche famiglie frequentavano le chiese in un'atmosfera di generale ipocrisia nel timore di ricever biasimo ed essere puntati a dito come "diversi".
Da ció dovrebbe allora derivare, come conseguenza ineludibile della premessa, che anche l'idee dell'indissolubilitá del vincolo matrimoniale, del rifiuto dell'aborto, della famiglia come nucleo essenziale della societá, anche se osservate nella prassi, altro non erano se non il frutto di quella generale tendenza all'ipocrisia ed anzi erano ipocrite e false esse stesse, effetto di quegli stessi pretesi condizionamenti socio-culturali.
Oggi invece le chiese sono frequentate da minoranze (magari "illuminate", giusto cardinale Martini ?) che hanno colto ció che maggioranze (naturalmente ignoranti ed ipocrite) non erano riuscite ad afferrare per 1900 anni !
Non per niente il nostro afferma che "...se guardo alla storia della Chiesa dei secoli passati, ringrazio Dio che mi ha fatto vivere questo tempo ! "
E gli effetti di questo miglioramento "qualitativo", di questo "tempo" di vera, profonda e consapevole scelta sono sotto gli occhi di tutti.
Gioventú schiacciata dalla droga e dall'ignoranza, sterminio di milioni d'innocenti abortiti, caduta d'ogni freno, morale e naturale, al soddisfacimento dei propri bisogni, sbriciolamento d'ogni forma di solidarietá sociale e primato del profitto senza etica e senza merito, perdita d'ogni punto di riferimento, uso generalizzato della menzogna, crollo d'ogni parametro di bellezza e di giustizia.
Ha ragione il Cardinale. Le maggioranze di ieri erano meno convinte delle minoranze di oggi.
Un tempo, quando un sacerdote svolgeva il proprio vero compito, cioé faceva catechesi e spiegava la Dottrina, quelle famiglie, quei ragazzi, quei vecchi e quelle vecchie, quei fedeli si recavano numerosi alla messa domenicale perché erano costretti dal retaggio, ch'essi avevano nel sangue, di secoli e secoli d'oscurantismo clericale.
E con loro anche i milioni ( 27, dicansi ventisette per la precisione) di cattolici che ovviamente per ipocrisia, per timore, per conformismo sociale affollarono negli anni cinquanta le strade, le chiese, le piazze di tutta Italia per assistere al pellegrinaggio della Madonna di Fatima.
Quello straordinario rinnovamento spirituale, quella messe di conversioni che furono suscitate dalla Peregrinatio Mariae furono dunque il frutto di un atteggiamento esteriore, di un'apparenza di sentimento, den diversi dalla "convinzione" e dalla "scelta" che oggi animano il nuovo mondo dei fedeli.
Alla massa incolta e "inconsapevole" che s'inginocchiava davanti all'immagine sacra, certo mossa anche da timore (ma che derivava questo dal rispetto verso chi era alto ed inconoscibile) oggi s'é sostituita una minoranza colta e consapevole che s'é affrancata dai vincoli farisaici del dovere sociale e dalle ipoteche d'un fanatismo di stampo crociato, abbeverandosi alla fonte d'una religione che promette benefici e risparmia i castighi, che non parla di bene e di male, che offre a basso costo la salvezza a tutti e che non osa pronunciare le parole "dannazione eterna" per non terrorizzare questi neofedeli dallo stomaco debole.
Del resto non é giusto spaventarli colla minaccia d'un male irrimediabile perché così li si indurrebbe ad una scelta "non consapevole", ipocrita, vittima di quella sorta di ricatto che é "il rispetto della tradizione" !
Lasciamoli allora dialogare col neosacerdote davanti a quella bella "tavolata" e magari sentiamo cosa ci propongono le altre fedi che, in quanto tutte capaci d'indicare parallele vie di salvezza, appaiono meritevoli di approfondimento ed interesse.
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Finte, infingarde, apparenti, esteriori sono state dunque le professioni di fede dei cristiani del tempo passato ? Ed é su queste falsitá che si é costruita la Chiesa? La civiltá europea e le sue istituzioni, giuridiche e sociali, tributarie della dottrina e della prassi cristiane ma di cui tutto il mondo é a sua volta debitore, sono dunque il frutto d'una grande illusione?
Evidentemente no.
Peró sono queste le conclusioni, paradossali ma inevitabili, a cui si giunge partendo dalle affermazioni del cardinale Martini. E dalle quali traspare una spaventosa presa di distanza, assai prossima all'odio - il tutto sapientemente dissimulato - verso tutto ció che é stato "prima"; prima che il fedele si rigenerasse, "risvegliando" la propria consapevolezza, abbandonando i ricatti del passato, affrancandosi dalla conformitá e da un timore quasi superstizioso.
Non sentite puzza di massoneria ?