venerdì 23 dicembre 2011

LA CRISI ISRAELE-TURCHIA E LE CONSEGUENZE REGIONALI

La crisi Israele-Turchia e le conseguenze regionali (Medio-Oriente, Unione europea)
di Aymeric Chauprade
La Turchia, nella prospettiva di diventare membro della NATO (vi fu ammessa nel 1952), è stato il primo paese musulmano a riconoscere Israele nel 1949. Essa fu, per tutto il corso della guerra fredda, una fortezza militaire del dispositivo americano in Eurasia. All'inizio degli anni novanta, la geopolitica americana le offrì un ruolo ancora più importante : divenire la potenza tutelare d’un grande Medio Oriente americano, continuare a sostenere Israele contro il nazionalismo arabo, impedire la formazione d’una Europa potenza indipendente attraverso la sua integrazione nell’Unione europea, contenere l'influenza della Russia nel Caucaso e nell' Asia centrale turcofone, sostenere il separatismo degli Ouïghours nel Turkestan cinese e infine aiutare Washington, a detrimento di Mosca, a controllare le vie di passaggio del petrolio e del gas dal mar Caspio e dall’Asia centrale.
Ma, nel corso degli anni 1990, apparvero i primi segni anticipatori che una Turchia islamista non si sarebbe lasciata rinchiudere nel ruolo d'alleato geopolitico degli Stati Uniti. Necmetin Erbakan e il suo partito (Refah) che tentava all'interno una rottura radicale col kemalismo, manifestò all'esterno la propria ostiità all’Occidente (« Noi non siamo occidentali, noi non siamo europei ») ed a questo « club cristiano sotto influenza massonica » che costituiva ai suoi occhi l’Unione europea.
Ahmet Davutoglu, il brillante ministro degli affari esteri d’Erdogan è oggi il difensore più emblematico di questo nuovo atteggiamento turco nelle relazioni internazionali, fondato sullo « choc delle civilizzazioni ». Rompendo con la politica dello Stato-Nazione e riprendendo l'idea d'impero, Davutoglu mira alla restaurazione dello splendore ottomano. E tutto ciò passa, almeno apparentemente, attraverso il sacrificio della relazione con lo stato d' Israele.
Dieci anni dopo gl'importanti accordi bilaterali di difesa tra Tel-Aviv ed Ankara, dunque a partire dal 2006 e la vittoria elettorale dell’AKP, il partito islamista turco, le relazioni fra i due paesi cominciano a complicarsi. In quell'anno la Turchia decide d'accogliere il dirigente di Hamas Khaled Mechaal. Il 30 gennaio 2009, il primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan, a Davos (Svizzera), si rivolge bruscamente al presidente israeliano Shimon Peres sulla questione di Gaza. L' 8 aprile 2010  lo stesso Erdogan qualifica Israele come « principale minaccia per la pace in Medio-Oriente ». Il 17 maggio 2010, Israele attacca pesantemente l’accordo sul nucleare firmato da Iran, Turchia e Brasile. Poi, nello stesso mese accade l'episodio della "flottiglia umanitaria" che cerca di rompere l’embargo su Gaza e dove alcuni turchi vengono uccisi. Il 31 maggio 2010, la Turchia richiama il proprio ambasciatore e avvisa Tel-Aviv di conseguenze irreparabili nelle relazioni bilaterali. A partire da questo momento, i rapporti tra i due alleati strategici volgono al peggio. Israele rifiuta di scusarsi (per non esporre i suoi militari a conseguenze giudiziarie) e la Turchia si ostina a pretendere scuse e riparazioni finanziarie. All'inizio di settembre 2011, la Turchia espelle l'ambasciatore d'Israele mentre Erdogan minaccia di fare scortare militarmente le navi turche che volessero raggiungere Gaza. Israele è anche accusata dal premier turco di mancanza di lealtà nell' applicazione degli accordi di difesa ; secondo lui, gli israeliani si rifiuterebbero di restituire i droni venduti ai turchi che si trovano in manutenzione presso di loro. Il 6 settembre 2011, il primo ministro turco annuncia la rottura degli scambi militari. Israele si rivolge allora alla Romania e alla Grecia alla ricerca di aree militari d'addestramento. Da parte sua, la marina turca riceve l'ordine d'essere più « attiva e vigilante » nel Mediterraneo orientale. Israele, che tiene al suo alleato turco e teme l’isolamento nel Medio-Oriente, tenta di calmare i turchi senza peraltro cedere alle loro pretese di scuse.  Ehud Barak non smette di riaffermare la propria amicizia verso i turchi e di avvertire che la crisi non è che passeggera. I turchi rifiutano l'insistente mediazione americana e moltiplicano le dichiarazioni di sostegno ai palestinesi e di condanna della minaccia nucleare che rappresenterebbe Israele nel Medio Oriente (Erdogan stigmatizza ancora il pericolo della forza nucleare israeliana, il 5 ottobre 2011, in Africa del Sud), accogliendo ultimamente une decina di detenuti palestinesi scarcerati in cambio della liberazione del soldato israeliano Gilad Shalit.
La questione che si pone è dunque la seguente : la Turchia degli islamisti sta veramente per spezzare la solida alleanza stretta durante il regime kemalista? Apparentemente tutto sembra indicarlo. Ciò nonostante, molti elementi contraddicono questa apparenza. In primo luogo, gli scambi commerciali non hanno smesso di crescere fra Israele e la Turchia dall’importante accordo di libero-scambio sottoscritto tra i due paesi nel 1997, e sono rimasti molto forti anche dall'inizio del 2011. In secondo luogo, sul piano geopolitico, la strategia neo ottomana elaborata da Ahmet Davutoglu si rivolge ben più contro l’influenza dell’Iran, dell’Egitto e dell’Arabia Saudita nel mondo arabo che contro Israele. Con le primavere arabe e la ricomposizione del Medio-Oriente, si gioca una partita silenziosa ma intensa tra le potenze arabe sunnite, il polo iraniano e il polo turco. Israele e Turchia restano uniti dalla stessa volontà di bloccare i rifornimenti d’armi iraniane alla Siria. La Turchia disputa all’Iran, all’Egitto e all’Arabia Saudita la loro influenza sui palestinesi di Gaza. Ankara tenta d'imporsi come modello di « governo islamico saggio » difeso dai Fratelli musulmani in numerosi paesi arabi sunniti. Niente vieta dunque l'ipotesi d’una commedia di facciata tra israeliani e turchi, che obbedisca agli obbiettivi comuni di contenere l’influenza dell’Iran e dell’Arabia Saudita e di far sì che l’Egitto mantenga il trattato di pace con Israele favorendo l'emergenza d’un governo debole incapace d'intraprendere iniziative politiche di peso . Ed allora la domanda :  continuità o rottura ? Stando alle parole e agli atti diplomatici, la seconda ipotesi sembrerebbe evidente. Ma nelle strategie d' "intelligence", delle attività occulte e delle finalità geopolitiche profonde, nulla è meno sicuro.
La nostra ipotesi è che la nuova politica neo ottomana avrà maggior impatto sul posizionamento turco rispetto ai progetti degli europei, dell’Unione europea, dell’Unione per il Mediterraneo, che con riguardo ad Israele. L’Unione per il Mediterraneo non esiste più dalla fine dei regimi di Moubarak e di Ben Ali poiché essa si fondava sostanzialmente sulle relazioni personali de dei due presidenti con il presidente francese. Quanto all’Unione europea, presa dalle sue importanti contraddizioni economiche (differenze di livello economico tra i suoi membri) essa non può più ormai concedersi il lusso d'aggiungerci le proprie contraddizioni geopolitiche (la Turchia non appartiene alla civilizzazione europea). Se l’Unione sopravviverà alla crisi attuale, probabilmente si rifonderà su basi economiche e geopolitiche più coerenti. Occorre dunque guardare la Turchia come un grande paese emergente che, come il Brasile, farà sempre di più una politica propria e cercherà di giocare la carta del neo ottomanesimo verso i sunniti del mondo arabo, proponendosi in particolare come Islam « saggio», in opposizione al wahhabismo saudita, e che svolgerà un ruolo di mediazione in Asia centrale e in Iran. La raffinatezza del gioco turco dovrebbe implicare che sia mantenuta, anche in maniera sotterranea, e dietro la facciata dell’ideologia islamica e pro palestinese, la carta strategica israeliana.

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