venerdì 14 gennaio 2011

RAGION DI STATO E STATO SENZA RAGIONE

Una volta si chiamava "ragion di Stato", quella che legittimava coloro che governavano, amministravano giustizia o erano incaricati di pubbliche faccende a coprire scandali e magagne magari adottando decisioni ingiuste in nome d'una più alta esigenza, quella di difendere gl'interessi dello Stato, compresa anche la reputazione di fronte ai suoi cittadini ed al cospetto delle altre nazioni.
Difficile sarebbe oggi ammettere che una simile necessità possa ancora invocarsi e ciò per l'ottima ed esaustiva ragione che lo Stato non esiste più ed il suo posto è occupato da una specie di entità informe che di reputazione non possiede neppure un milligrammo.
Chiamerebbesi Stato quella cosa costruita per dar regole alla comunità di persone che si trovano all'interno del suo territorio, perciò sottoposte alla sua tutela ed alla sua autorità, destinata a pretendere il rispetto delle leggi in cambio dell'erogazione di decenti servizi e della protezione dei più deboli; a ciò si dovrebbe aggiungere il non trascurabile dovere per chi è chiamato ad amministrare di farlo per il bene comune, senza clientele e con sano disinteresse e, last but non least, con capacità.
Ditemi voi se ciò che oggi sentiamo chiamarsi "istituzioni", "governo", "classe politica", assomiglia pur vagamente ad un lontanissimo parente di quella cosa che, in ragione delle funzioni che è chiamata ad assolvere, ho sommariamente descritto.
Un caso come quello di "Ruby", in tempi seri e con istituzioni politiche, giudiziarie e amministrative degne di questo nome, sarebbe stato subito soffocato - e non senza ragione - fin dal suo nascere.
L'avviso di garanzia inviato dalla Procura milanese a Berlusconi dimostra invece
che questo "Stato", pardon questa entità informe e gelatinosa, è arrivata al capolinea.
E con essa vi sono arrivati a braccetto, tutti insieme, gli scollati segmenti dello "Stato" - governo, parlamento e magistratura.
Il primo, dove si respira un clima da bunker - ma senza veri sovietici in grado di dargli l'assalto da fuori - circondato solo dal vuoto della propria inutilità è ormai preda delle follie senili di Berlusconi; il secondo, ridottosi ad un mercato di vacche ha l'opposizione più ridicola e penosa che sia mai comparsa in tutta la storia democratica d'occidente, tanto inetta da non riuscire neppure a sconfiggere una maggioranza allo stremo delle forze; la terza è da lungo tempo divenuta un luogo di scontri politici ed una corporazione impermeabile a qualsiasi sana riforma; precipitata in efficienza e competenza e composta da una classe di magistrati che - nè più nè meno di Berlusconi, sia chiaro - godono d'una impunità che non ha riscontri in nessun'altra giurisdizione del mondo civile.
Non illudiamoci quindi che scaricando Berlusconi e i suoi da questo capolinea si possa ripartire; bisogna rottamare l'autobus, i guidatori titolari e quelli di scorta, i meccanici e cambiare anche percorso e stazioni di rifornimento.
Non pensiate quindi che la magistratura abbia compiuto un gesto eroico; ha coperto e insabbiato ben di peggio e quel che fa obbedisce ad interessi politici esattamente come fece - e proprio la Procura milanese - vent'anni fa ai tempi di "mani pulite", per servire interessi d'oltreatlantico e d'oltremanica.
Per ora accontentiamoci quindi di assistere all'autofagia di queste istituzioni le cui oscenità nessuna "ragione di Stato" può più coprire.
Assistiamo a questo spettacolo con lo stesso spirito sportivo con cui, durante le cinque giornate di Milano, come narra un antico aneddoto, un vecchio nobile meneghino affacciato alla finestra si godeva le sparatorie; urlando entusiasta ogni volta che vedeva, indifferentemente, un insorto o un austriaco raggiunto da una fucilata: "Bel colpo!".

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