mercoledì 14 aprile 2010

DEFICIENTI

La Corte di Cassazione ha annullato un'ordinanza emessa dal Tribunale del riesame di Bologna che aveva applicato nei confronti del padre di due bambini la misura cautelare dell' allontanamento dalla propria residenza. La decisione del tribunale bolognese, poi annullata dalla Suprema Corte, era motivata dal fatto che in alcune occasioni il padre aveva sgridato i propri figli, iperattivi, chiamandoli "deficienti". La denuncia era partita da alcune vicine di casa che avevano udito le sfuriate del padre. Nell'ordinanza s'era dunque stabilito che l'uomo doveva allontanarsi dalla casa familiare e neppure piú avvicinarsi alla scuola elementare frequentata dai due figli. L'annullamento della decisione del tribunale da parte della Corte di Cassazione é stato invece motivato sul presupposto che il provvedimento adottato non aveva tenuto conto "delle ripercussioni che ne derivano sull'assetto organizzativo della stessa famiglia". La vicenda ha del grottesco. Un padre ha sgridato, magari in maniera brusca e con atteggiamento sicuramente criticabile i propri figli. I suoi toni alti vengono captati dalle vicine comari che origliano come delle serve, appoggiate ai muri. La cosa, grazie a una di queste zelanti delatrici, giunge a conoscenza della Procura della Repubblica che dopo aver aperto un fascicolo formulando un'ipotesi di reato (verosimilmente quello di maltrattamenti) richiede la misura dell' "allontanamento dalla residenza familiare"; un giudice l'accoglie e il tribunale del riesame lo conferma. Un padre é stato sbattuto fuori di casa propria, ve ne rendete conto ? E non perché percuoteva la moglie, prendeva a cinghiate i figli o magari si presentava regolarmente sbronzo o portando in casa delle mignotte. Nossignori ! E' stato allontanato dalla propria dimora perché ha chiamato i propri figli "deficienti", termine che pur non essendo propriamente un complimento, secondo il Devoto Oli altro non significa che "notevolmente scarso sul piano della disponibilitá o dell'apprendimento". E neppure poteva avvicinarsi ai figli all'uscita da scuola perché gli era stato proibito anche quello. Questa misura cautelare, l' "allontanamento dalla residenza familiare" , che puó trovare applicazione nei casi dei c.d. "reati familiari", non é una folle trovata legislativa d'una coalizione d'impronta dottrinale zapaterista; é un parto del governo Berlusconi, é un provvedimento di legge votato dalla maggioranza parlamentare di centro-destra, Lega inclusa; é, aggiungo, la stimmate che convince dell'imbecillitá d'un governo che, infatti, vede tra i propri ministri persone come Alfano (colui che dichiaró che Berlusconi non curava piú i propri interessi personali perché non l'aveva mai sentito discutere di ció al telefono) e la Carfagna (che, oltre ad occupare quel posto per motivi - lo sanno anche i gatti - tutt'altro che politici, non perde mai occasione per pronunciare solenni minchiate). E' pure il frutto d'un femminismo di ritorno, quello delle Carfagna, delle Prestigiacomo, delle Mussolini - degne odalische dell'arem centrodestrorso - che vorrebbe rappresentare la faccia moderna d'una "destra" aperta al dialogo e all'uguaglianza ma che peró produce soltanto disastri. Perché per fare i ministri e ideare leggi e regolamenti non serve a nulla aver un bell'aspetto, un bel deretano, due belle poppe ma occorre competenza e prudenza, doti che s'acquisiscono collo studio, colla gavetta e col tempo, non certo sdraiandosi sui materassi presidenziali. "Mulieres in ecclesiis taceant " scriveva San Paolo rivolgendosi ai Corinzi. Le donne non mettano becco negli affari pubblici. Mentre il comico che risiede oggi a Palazzo Chigi s'é circondato di qualche nano ma soprattutto di molte ballerine. Ma le colpe non sono soltanto del governo Berlusconi e della sua claque, dei valvassini che ha fatto entrare in parlamento e dei suoi lacché e delle sue amanti sistemati nei ministeri. La magistratura é capace di non minori danni e l'ordinanza poi annullata dalla Corte di Cassazione sembra uscita dal peggior incubo kafkiano. E qui ci sarebbe da dire molto sui criteri d'accesso alla carriera di magistrato, oggi regolati dalla sola idoneitá stabilita da un concorso pubblico, sicuramente difficile da vincere, ma che é assolutamente insufficiente a dimostrare una capacitá di giudizio. Basta conoscere le leggi per giudicare bene? E che dire delle doti di temperanza, di logica, di correttezza, di prudenza ? Queste, ben piú importanti e decisive della mera conoscenza dei codici, chi le controlla ? Chi le controlla per impedire che la procedura adottata da un giudice, pur preparatissimo sul piano dottrinale e giuridico, non diventi un tritacarne per il primo sventurato ? Piú magistrati hanno cooperato all'ideazione di quella vergognosa decisione: un pubblico ministero che l'ha richiesta, un giudice che l'ha concessa ed almeno due dei tre componenti del collegio del riesame che l'hanno confermata. C'é da rabbrividire. Del resto quello giurisdizionale é un potere che sta dimostrandosi all'altezza degli altri due, esecutivo e legislativo. All'altezza del senso civico, d'equilibrio, d'imparzialitá, di sobrietá che caratterizzano tutte le nostre classi dirigenti. Han ragione quelli che denunciano l'esistenza d'un conflitto tra giudici e classe governativa. Sì, stanno lottando l'uno contro l'altro per ottenere la palma di chi é piú irresponsabile. Proprio per non dire quella parola che quel padre rivolgeva ai propri figli e che tutti gli italiani dovrebbero, in un coro spernacchiante, sbattere sul grugno di coloro da cui sono, a tutti i livelli, amministrati.

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