martedì 15 febbraio 2011

ITALIA ED EUROPA ASSENTI INGIUSTIFICATE

Il ministro Maroni ha bacchettato le istituzioni europee colpevoli d'aver lasciata l'Italia sola a gestire l'emergenza dei profughi della crisi sudmediterranea.
Gli sbarchi di tunisini ed algerini, giá arrivati oltre il numero di quasi seimila nello spazio d'un mese consentono una proiezione di circa ottantamila nuovi arrivi nel giro d'un anno, una vera e propria "calamitá" umanitaria.
Maroni ha ragione ed ha torto.
Ha torto quando autoassolve il proprio ministero; un governo che si rispetti deve essere in grado d'analizzare gli eventi, prevederne le conseguenze ed apprestare tutte le misure necessarie a scongiurarne gli effetti piú pericolosi.
Sono ormai due mesi che Tunisia ed Algeria, e non solo loro, sono infiammate da pesanti disordini e non ci voleva certo un esperto uscito dalla War Academy di West Point per capire che quelli potevano costituire una buona ragione (o forse sarebbe meglio parlare di buon pretesto, ma l'effetto non cambia) per esodi e fughe "verso la libertà".
Abbiamo un alleato - almeno così ci viene presentato - Gheddafi, a cui abbiamo promesso soldi ed aiuti affinché la Libia funga in qualche modo da guardiacoste delle rive nordafricane, per frenare la partenza d'indesiderati clandestini verso le nostre spiagge.
Un governo previdente avrebbe dovuto, alle prime avvisaglie della crisi tunisina, predisporre piani di dirottamento ed accoglienza dei fuggitivi verso le coste libiche e gestire là, lontano da casa nostra, la situazione.
Sarebbe bastata una minima volontá politica, unita a buoni canali informativi e a qualche motovedetta piazzata al largo delle coste tunisine per tenere alla larga la prospettiva, prevedibile ed imminente, della calamitá umanitaria.
Il confine lo si comincia a difendere oltre il confine.
Ma la volontá e la competenza, al pari del coraggio come diceva Don Abbondio, se non le si hanno non ce le si puó dare e Maroni, a cui non puó essere addebitato tutto il peso di questa situazione, fa il fuoco colla legna che si ritrova.
Il nostro ministro dell'Interno ha peró ragione nell'accusare le istituzioni europee di totale indifferenza per quanto l'Italia potrá andare a subire nei prossimi mesi.
Se il nostro paese subisce le conseguenze d'un vero e proprio deficit di credibilitá sul piano internazionale, che il ridente satrapo di Arcore ha contribuito in maniera decisiva a creare colla sua congenita mancanza di serietà, ció che rende l'Italia, perlomeno come peso diplomatico-politico, un paese a livello di terzo mondo, l'Europa ha lei stessa voluto imboccare la strada d'un basso se non nullo profilo di politica estera.
Prima potenza industriale ed economica del mondo, con un grado di progresso sociale senza eguali, l'Europa sembra aver rinunciato ad assumere un ruolo geopolitico di rilievo in questo mondo ormai sempre pìú multipolare.
Non ci rinunciano, beninteso, Gran Bretagna (per quanto di europeo essa abbia ben poco), Francia e Germania, queste ultime non a caso avendo stretto sempre di piú importanti contatti, economici e militari, colla Russia.
Ma lo fanno loro, non l'Europa; forti della loro secolare esperienza politica hanno ben capito che questa mastodontica realtá é come un bue; forte, resistente e (economicamente) trainante ma senza gli attributi.
Questo enorme spazio socio-economico, (con tutti i suoi enormi difetti, sia chiaro) é forte, ricco, civilmente e socialmente progredito (perlomeno se paragonato al resto del mondo) ma ha perso in agilitá a causa d'una burocrazia ossessiva e parassitaria che gli ha succhiato ció che sempre aveva posseduto: la volontá, la capacitá di darsi un destino, il senso della propria esistenza.
Non piú capi di Stato ma burocrati, non piú politici ma banchieri, non piú strateghi ma funzionari.
Senza i primi, infatti, sono i secondi a comandare.
L'Europa ha insomma perduto quello che Aymeric Chauprade chiama l' "orizzonte di guerra"; che non significa volere la guerra, auspicare o praticare politiche d'aggressione, tenere atteggiamenti bellicosi; nossignore, significa mantenere come ultima opzione, ed essere disposti ad adottarla ove il caso l'imponga, l'uso della forza sapendo che i propri interlocutori ne hanno piena consapevolezza.
Un "orizzonte di guerra" ce l'hanno gli Stati Uniti e i loro alleati anglosassoni, ce l'ha la Russia, ce l'ha la Cina, ce l'ha Israele, ce l'ha l'India, ce l'hanno molte nazioni dell'area islamica.
Mentre L'Europa, quando ha mandato in giro i propri soldati (e il punto qui non é se era giusto o sbagliato), l'ha fatto nascondendosi sotto le gonne dello zio Sam, strillando che erano "missioni di pace".
Che se ne fa del suo acciaio, della sua produzione industriale, del suo sviluppo tecnologico, della sua laboriositá, del suo progresso sociale, dei suoi cervelli, della sua bimillenaria civiltá se, accanto a tutte queste belle cose non é capace, quando occorre, di sbattere i pugni sul tavolo per farsi rispettare? E di farlo soprattutto in prima persona?
Potrebbe essere forte, agile e incutere timore come un toro ma qui abbiamo solo un bue, ubbidiente e massiccio ma soprattutto appesantito, rassegnato e catatonico.

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