mercoledì 9 febbraio 2011

NON SCORDO

Ripubblico un post di un anno esatto fa, dedicandolo al sacrificio dei combattenti della Repubblica Sociale nei nostri confini orientali e alle sofferenze degli istriani e dei giuliano-dalmati, massacrati dagli slavi e dimenticati dalle nostri classi politiche.

"BOIA CHI MOLA "

"Mona chi ghe crede, boia chi mola".
Questa la risposta, ironica ed impudente d'un anonimo bersagliere veneto del I^ battaglione volontari, poi chiamato "Mussolini", alla lettura da parte degli ufficiali dei comunicati incoraggianti emessi dagli alti comandi.
"Fesso chi ci crede ma boia chi molla"
Loro, quei bersaglieri, quei maró, quegli alpini, quei carabinieri, quei legionari, quelle Camicie Nere, quei militi della Confinaria e della Guardia di Finanza avevano perfettamente capito che non avrebbero potuto resistere tanto tempo alla pressione slava che premeva sui confini orientali d'una patria ormai perduta.
Sapevano che gli "alleati" tedeschi, resi furiosi dal voltafaccia badogliano, ormai consideravano quelle terre - a cui avevano imposto un'amministrazione chiamata "Supremo Commissariato per la zona di operazioni del Litorale Adriatico" da loro presieduta - una merce di scambio, pronta ad essere barattata per assicurarsi la lealtá dei loro alleati slavi.
Cosicché i nostri soldati non solo dovevano affrontare un nemico crudele che non faceva prigionieri ed era temibile per la sua efferatezza ma dovevano guardarsi le spalle da pretesi alleati pronti a sabotarti.
Le cose vanno dette senza reticenze.
Il tedesco, eroico nella resistenza contro gli alleati angloamericani e nell'urto contro le orde sovietiche, spesso si comportó male con noi in quelle terre di confine che separavano la civiltá dalla barbarie.
* * *
Quando le stazioni radio diffusero l'8 settembre il comunicato dell'EIAR che annunciava la fine della guerra a Trieste nessuno si fece illusioni perché lì sapevano che i problemi affrontati fino ad allora, razionamenti, bombardamenti, angoscia di madri e spose, si sarebbero moltiplicati.
E così fu: da un lato Ante Pavelic, appoggiato dalla Germania dichiarava guerra all'Italia rivendicando alla Croazia tutti i territori della costa adriatica, dalmata, Zara inclusa; dall'altro, contemporaneamente, i partigiani titini, appoggiati dai comunisti italiani, occupavano l'Istria proclamandone l'annessione alla Jugoslavia.
Le truppe italiane, diversamente da quelle tedesche, erano state colte di sorpresa dall'annuncio dell'armistizio, e il loro sbandamento favorì l'occupazione di Gorizia da parte delle bande titine, spalleggiate dai partigiani italiani.
Furono tre giorni di saccheggi, di violenze e di terrore, preludio a quanto sarebbe accaduto dopo la fine della guerra.
L'11 settembre cadeva anche Spalato e per diciassette giorni le bande comuniste ebbero mano libera; i tribunali popolari che condannavano a morte gl'italiani erano presieduti da un ex barbiere spalatino di nome Janos Papo, divenuto commissario del popolo; questo individuo dettava personalmente l'elenco degli italiani da sopprimere; li dettava perché era analfabeta.
Tutta l'Istria e la Dalmazia, fatte salve Zara, Pola e Fiume, subirono in quel dopo armistizio la barbarie slavo-comunista.
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Nell' ottobre del '43 i primi reparti inquadrati nella RSI che giunsero a Gorizia furono i volontari bersaglieri del I^ battaglione; essi tennero un fronte di venticinque chilometri fino alla fine della guerra; addirittura alla fine di maggio del 1945 erano ancora attivi presidi di soldati che continuavano a combattere.
Erano operai, impiegati, borghesi, liceali, accolti in tutte le cittá giuliano dalmate come difensori della patria.
Fino alla fine delle ostilitá migliaia di soldati persero la vita, in combattimento ma soprattutto in agguati e solo il collasso della Repubblica Sociale permise alle bande di Tito di impossessarsi delle cittá italiane; il primo maggio del 1945 i primi reparti delle truppe slave entrarono a Trieste.
Quel giorno Togliatti, ministro del governo provvisorio, da Roma invió ai triestini il seguente messaggio: "Nel momento in cui giunge notizia che le truppe di Tito sono entrate nella vostra cittá inviamo a voi lavoratori il nostro fraterno saluto. Il vostro dovere é di accogliere le truppe di Tito come liberatrici e di collaborare con esse nel modo piú stretto".
In ogni cittá occupata dagli slavo-comunisti iniziarono a funzionare i tribunali del popolo: eccidi, deportazioni, infoibamenti.
Interi libri sono stati scritti per ricordare gli orrori che i nostri soldati ma anche i civili, le donne, i vecchi e i bambini subirono da quella marmaglia senza umanitá.
Nessuno a Roma, anche negli anni successivi alla guerra, si preoccupo´dei nostri prigionieri: Per il governo non erano italiani degni d'attenzione.
Soltanto nel 1947 gli slavi si determinarono a rimpatriare quei pochi prigionieri ch'erano sopravvissuti all'inferno dei campi di detenzione.
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La prima autoritá della repubblichetta italiana che si degnó di visitare ufficialmente la foiba di Basovizza fu l'allora presidente Francesco Cossiga, nel 1991; ma fu la generositá dell'uomo o il calcolo politico ? Difficile sbagliarsi.
Mai come in quegli anni i comunisti o ex-comunisti pidiessizzati erano giunti al punto piú alto della loro lontananza dal potere che neppure piú arrivavano ad annusare, chiusi dall'asse pentapartitico e resi orfani dalla dissoluzione dell'impero sovietico.
Fu dunque la situazione di debolezza dell'ex pci a favorire quel gesto; lo smembramento dell'ex Jugoslava fece il resto.
La riprova?
Là dove non s'è ancora incrinata la forza di potere del sistema comunista o post-comunista, che ha generato favoritismi ed omertá, tante figlie, tante sorelle e tante mogli ancora oggi, dopo sessantacinque anni, non sanno dove riposano i resti dei loro padri, dei loro fratelli, dei loro mariti, in quelle terre maledette della bassa bolognese che videro dopo il quarantacinque scatenarsi la furia delle iene e degli sciacalli, degni emuli dei loro compagni titini, dopo che i leoni erano stati abbattuti.
Perché é bene ricordare che fin quando c'erano i leoni iene e sciacalli stavano rintanati.
Finito anche il tempo delle iene e degli sciacalli giungeva l'ora degli avvoltoi: quelli che consideravano gl'infoibamenti, le deportazioni e le violenze contro i giuliano dalmati una reazione slava all'occupazione italiana.
Poi qualcuno, dall'alto della sua sicumera, colla puzzetta sotto il naso e la kippah in testa dichiarava che quello della Repubblica Sociale era stato il periodo piú oscuro della storia italiana, e così sputava sulle tombe e sulle ossa insepolte di coloro che avevano difeso col sangue lembi della nostra terra, quelli che avevano mostrato alle iene e agli sciacalli che finché c'erano loro di là non si passava.
Era arrivata l'ora dei vermi.

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