domenica 7 febbraio 2010

MA IN CHE MANI SIAMO ?

Dopo aver partecipato al convegno intitolato ''Crescere senza Violenza. Politiche, strategie e metodi'' nel corso del quale é stato presentato il rapporto della o.n.g. "Save the children" dove emerge che un quarto degli italiani utilizza punizioni corporali nell'educazione dei figli, il ministro per le Pari Opportunitá Mara Carfagna dopo aver espresso l'importanza di indagare sui metodi educativi utilizzati dai genitori, ha aggiunto - testualmente - che ''Compito delle istituzioni e di chi, come i media e la pubblicita', arriva in tutte le case e' quello di promuovere un modello di famiglia basato sul dialogo, l'ascolto e la comprensione reciproca, che condanni in maniera ferma ogni forma di violenza''.
In Europa, le punizioni corporali sono giá state vietate in Svezia, Norvegia, Finlandia, Austria, Cipro, Danimarca, Lettonia, Bulgaria, Ungheria, Germania, Romania, Grecia e, dal 2007, anche nei Paesi Bassi, in Portogallo e Spagna.
L'offensiva sta pian piano prendendo piede anche in Italia: col pretesto di tutelare i diritti inalienabili dei minori, essa vuole in qualche modo determinare i genitori alla scelta d'un modello educativo che metta all'indice l'utilizzo della "violenza".
E qui sta un primo punto da chiarire, che coinvolge l'uso del linguaggio quale strumento di dis-informazione, di dis-educazione e, quindi, di lotta politica.
"Violenza" , secondo il Devoto-Oli è una "forza impetuosa e incontrollata"; vis olentus, appunto, una forza sovrabbondante, eccessiva, smisurata.
Oggi, la dittatura mediatico-informativa utilizza quella parola tutte le volte in cui intende stigmatizzare un fatto, di qualunque portata esso sia; ecco allora che un'opposizione, una protesta o anche una ferma presa di posizione in qualsivoglia questione divengono "violente" sol che le si vogliano rendere biasimevoli agli occhi di tutti.
L'accusa di violenza, verbale o fisica, non é piú il risultato d'una valutazione sulla congruitá dei mezzi utilizzati rispetto alle circostanze in cui la forza - che altro non é se non una manifestazione di vitalitá. espressa o verbalmente o col vigore fisico - viene dispiegata e della resistenza che essa deve vincere ma é l'effetto d'un semplice calcolo politico teso a suggestionare, erede del metodo dialettico leninista per cui tutto ció che va nella direzione opposta alla rivoluzione bolscevica, fosse anche una veritá, deve scomparire o soccombere poiché falso.
In poche parole un sapiente utilizzo della menzogna per un lavaggio del cervello collettivo.
Dunque anche nel tema dei rapporti educativi si usa, a bella posta, la parola violenza perché si vuole arrivare direttamente al risultato, senza alcuna riflessione intermedia, sfruttando l'effetto semantico, perché si ritiene - per pregiudizio ideologico - che la punizione corporale, di per sé sia sbagliata, indipendentemente dalle circostanze in cui essa è adottata.
E' in questo scenario ideologico che dobbiamo muoverci per commentare, noi sì senza pregiudizi di sorta, questa nuova manifestazione di - pericolosa - stupiditá raccolta da miss Palazzo Chigi.
Che condanna - appunto - ogni forma di "violenza" che si sviluppi nell'ambito familiare.
Nessuno - men che meno il vostro umile importuno - vuole difendere la violenza, anche quando si manifesta dentro le mura di casa ma "Save the children" non intende limitarsi a combattere la violenza bensì intende proibire le "punizioni corporali" .
Ecco l'equazione: ogni punizione corporale equivale ad una violenza, dunque a qualcosa di male in sè. Conseguentemente ogni punizione corporale é per ció stesso eccessiva, qualunque sia il fine che si prefigge, qualunque sia la resistenza da vincere.
Non si tratta di un'iniziativa volta a eliminare forme marginali di brutalitá ma di una vera e propria rivoluzione copernicana, ossia eliminare l'idea che un genitore possa, certamente in casi estremi, sculacciare o allungare una sberla al figlio ma, soprattutto, eliminare nel bambino l'idea che un padre possa applicargli sanzioni sgradite.
Ció che comporta, come inevitabile corollario, che anche la sola minaccia di punizione corporale debba essere bandita dal novero degli strumenti educativi.
Portando il ragionamento al paradosso dovremo aspettarci un manuale dei comportamenti ad uso dei genitori, un libretto d'istruzioni sulle punizioni-tipo da infliggere ai figli riottosi o, magari, verrá imposto in ogni abitazione un misuratore di decibel che segnali il superamento del limite massimo di volume della sgridata, con immediata segnalazione del caso a "telefono azzurro" ?
E quali decisioni dovrebbe adottare il genitore se il figlio rifiutasse le regole stabilite dall'autoritá paterna o le punizioni "non corporali" suggerite da questi neo-educatori da strapazzo ?
Organizzare una tavola rotonda? Mettere la proposta punitiva ai voti ?
Questo grottesco dibattito non si sta sviluppando soltanto in Italia ma, proprio poche settimane addietro, anche presso la nostra sorella d'oltralpe; una deputata francese dell'UMP (centrodestra), Edwige Antier, pediatra, ha depositato al parlamento francese una proposta di legge volta a proibire l'uso delle punizioni corporali.
"La violenza fatta al fanciullo lo rende a sua volta violento" ergo, sostiene la deputata, occorre "codificare questa proibizione nel diritto di famiglia".
Quella italiana e quella francese non sono altro che espressioni di quella nuova dittatura che si chiama euroburocrazia la quale intende applicare con scientifica tenacia le astrazioni ideologiche proclamate nella carta dei diritti dell'uomo e, da ultimo, nella carta fondamentale dei diritti dell'Unione Europea, sostanzialmente confermata dal trattato di Lisbona; per quel che qui occupa merita rilievo la disposizione contenuta nell'articolo 24, della carta fondamentale che sancisce - oltre astratte dichiarazioni di tutela del minore, anche - udite udite - il principio della "democrazia familiare", così indicato: " I bambini possono esprimere liberamente la loro opinione".
E' ben lungi dal pensiero di chi scrive - e sicuramente di tutti i miei ventidue lettori - ritenere ingiusto ed impraticabile il dialogo tra i genitori ed i figli ma l'idea che una simile ovvietá debba essere codificata appare come il chiaro segnale di una sempre maggiore volontá intrusiva del nascente super Stato demo-burocratico nelle vite private della famiglia il cui buon funzionamento, non di rado, dipende proprio da scelte e decisioni che di democratico hanno assai poco.
Ma alla stupiditá di chi raccoglie questi messaggi - non meno colpevole di chi in mala fede, incatenato ai propri pregiudizi dogmatici, li elabora - si aggiunge l'ipocrisia.
Invece di preoccuparsi di una violenza che non esiste - se non in casi del tutto marginali - il nostro governo e tutta la classe politica dovrebbero cominciare a chiedersi quali influssi negativi i minori ricevono dalla televisione, dai programmi diffusi via internet (che oggi sono visibili da piú dell'ottanta per cento delle famiglie italiane), dall'abuso dei mezzi di comunicazione.
Ma questi strumenti non si toccano perché fanno parte del business.
E i ceffoni invece no.

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